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nelle scuole, se non se di Commedianti, di Gladiatori, e di Cavalli? Gli stessi maestri, che guadagnar non si possono i loro uditori coi meriti, ma colle adulazioni, non si trattengono per lo più coi loro scolari che di questi oggetti frivoli, e indegni1.

Quando all’avarizia, e trascuranza dei Genitori si univano ancora i loro cattivi esempj, ed un natural contraggenio verso qualunquesiasi grande, ed utile capacità, cognizione, e virtù, non dee recar maraviglia se i Figli divenivan simili ai loro Padri, ed eziandio peggiori di questi. Dio volesse, esclama Quintiliano, che noi medesimi non corrompessimo i costumi dei nostri figli! Noi siamo quelli, che snerviamo la lor fanciullezza coi sensuali piaceri; e la molle educazione, che da noi amore, e premura si chiama, indebolisce loro tutti i nervi dello spirito, e del corpo2. Cosa non desidererà divenuto adulto, ed uomo quel bambino, che già si strascica sulla porpora? Tostochè appena un fanciullo comincia a balbettare egli conosce, e brama digià seta, porpora, e leccornie. Noi ammaestriamo il palato de’ bambini prima della lor lingua, e gli lasciamo crescere nelle lettìghe; e se qualche volta mettono essi appena i piedi in terra li sostenghiamo subito dall’una e dall’altra parte. Noi ci rallegriamo

  1. De oratoribus dialog. c. 29.
  2. 1. 2. Instit.