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e serviti da tavola; le cospicue somme di danaro, che spendevansi per le lor tavole, e nei lor vestiti, e ornamenti; ed in fine il numero prodigioso dei loro Schiavi domestici, e Clienti, e fo il confronto di tutto ciò colle sostanze dei più ricchi proprietarj, e usuraj, non mi reca già meraviglia la mostruosa ricchezza dei Romani, ma bensì come essi non avessero avuto bisogno di capitali dieci volte maggiori, onde eseguir tali imprese, e far fronte a tanto scialacquo e dissipamento. I più facoltosi, di cui descritte ci restano le ricchezze, non avevano una possidenza maggiore di otto millioni, e mezzo, o al più dieci dei nostri Talleri. Otto millioni e mezzo si stimavano all’incirca i capitali di Pallante, il quale a par degli altri Liberti, di Claudio, e di Nerone vien notato da tutti gli Scrittori come un prodigio di fortuna, e di ricchezza1. Altrettanto, e non di più erano le sostanze di Seneca, per rispetto alle quali dicevasi ch’esse oltrepassassero i limiti dei tesori di un Re2.

  1. Tac. Annal. XIV. 53. „ sestertii ter millies possessor„.
  2. Dio. L. 61. c. 10. Qua sapientia, dimandava Suilio, XIII. 42 . Tac. Annal „ quibus philosophorum praeceptis intra quadriennium regiae amicitiae ter millies sestertium paravisset?„ Seneca non divenne così facoltoso come gli Schiavi, e i Liberti di Nerone, e di Claudio, cui egli tante volte deride, ma si arricchì molto più presto dei medesimi, dei quali niuno guadagnò, com’egli, due millioni l’anno.