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lo stomaco, ma coll’andar del tempo essi resero peggiori quei mali stessi, che vanno congiunti colla più eccessiva intemperanza per rispetto ai piaceri della tavola, e dell’amore. Sino dai tempi di Augusto, e di Tiberio si cambiò, o si sconvolse tutta la costituzione naturale dei primarj Romani. Ne nacquero innumerevoli, e sin allora inaudite malattie, e quelle già comuni, e conosciute divennero moltopiù frequenti, complicate, e maligne di quel che lo fossero state per il passato. Le doglianze dei contemporanei rispetto alle naturali calamità dei vizj dominanti, e sulla terribile del pari che sollecita degenerazion dei Romani sono troppo istruttive perchè io non debba dispensarmi dal chinder con esse la descrizione della lor Voluttà, Golosità, e intemperanza.

Anticamente, dice Seneca1, la Medicina consisteva nella cognizione di alcune erbe, con cui potevasi stagnar il sangue, e guarir le ferite, giacchè i corpi erano ancora robusti, ed i cibi semplici, e sani. Dopo che peraltro si sono inventate vivande, e sughi non per saziare, ma per promuover la fame, allora ciò che altre volte era un alimento del corpo n’è divenuto poscia un aggravio. Di quì hanno avuto origine la pallidezza, la paralisia, e la macilenza, che è molto più deforme quando proviene da indigestione che quando nasce da fame; di

  1. Ep. 95.