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fuori d’Italia. La Città divenne un ridotto dì tutti i Popoli1, e nel tempo stesso uno stagno in cui metteva foce tutto ciò che poteva corrompere, ed esser corrotto2.

Tra tutti i dominanti vizj prodotti dalle guerre straniere, e nudriti dalia sfrenatezza delle civili discordie non ve ne fu alcuno, il quale riuscisse tanto pernicioso, ed insuperabile, quanto una certa ostinata, e non naturai voluttà. La maggior parte dei Grandi, e gli stessi Cavalieri3 vivevano in uno stravagante celibato, poichè detestavano i pesi del matrimonio, e non volevano por freno alle loro spese, ed ai lor desiderj. Augusto, subito che ebbe preso possesso del Governo procurò tanto colla promessa d’importanti vantaggi, e privilegj, quanto colla minaccia di severi gastighi di richiamare i traviati Romani alle leggi della Natura, ai doveri di buoni Cittadini, e alle domestiche contentezze da loro così poco apprezzate; ma per quanto fossero grandi la sua dignità, e la sua potenza, tuttavia egli incontrò in quest’assunto una così ma-

  1. „ Civitas ex nationum conventu constituta. Cic. c. 14. de Pet. Consul.
  2. Tac. Annal. XIV. 20. „ Caeterum abolitos paulatim patrios mores, funditus everti per accitam lasciviam, ut quod usquam corrumpere, et corrumpi queat, in urbe visatur, degeneretque studiis externis juventus gymnasia, et otia, et turpes amores exercendo, etc.
  3. Dio. Cass. Lib. 56. p. 811.