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32 Antonio Olivieri

trenta1. Negli anni immediatamente successivi il riferimento monetario cambiò, come si vedrà più avanti, in favore di un circolante locale, la moneta di conio segusino.

A Ivrea, come si diceva, i pochi documenti superstiti testimoniano il ruolo egemonico della moneta pittavina sino alla fine degli anni quaranta: è del novembre 1149 una investitura del capitolo di Santa Maria di Ivrea a due fratelli di un manso sito nel territorio di Palazzo (oggi Palazzo Canavese) per un censo annuo di quattro soldi di moneta pittavina2; mentre si è già nel settembre 1151 con l’appignoramento di otto iugeri di arativo per un prestito di ventiquattro soldi, quindici in moneta pittavina e nove in moneta segusina3.

Nel Piemonte nord-occidentale si ebbe quindi dagli anni trenta fino ad oltre gli anni cinquanta (quest’ultimo termine vale per l’Eporediese4), una circolazione parallela delle monete dei due coni segusino e pittavino, con una tendenza della moneta segusina a prevalere.

Ma quando aveva iniziato a diffondersi quest’ultima nuova moneta? L’erudizione piemontese sette-ottocentesca riteneva che l’apertura della zecca di Susa dovesse risalire agli ultimi anni dell’XI secolo, attribuendo l’iniziativa a Umberto II (morto nel 1103). Domenico Promis si basò su un documento dell’Archivio del capitolo cattedrale di Torino che datò erroneamente al 1104, mentre era in realtà di un sessantennio posteriore5. Il primo riferimento certo sembra essere in realtà lo stesso utilizzato da Giuseppe Vernazza in un suo studio sulla moneta segusina uscito alla fine del Settecento: un documento della canonica di San Lorenzo di Oulx del 1109 che menziona la nuova moneta nella penale6. Il fatto è che questa moneta non sembra affatto avere le caratteristiche della moneta «conquérante», per

    ro di Santa Maria di Cavour l’autore eccettua «unum sedimen quod est in pignus pro VI solidis Pictaviensis et istud sedimen dedit tali tenore nepte sue ut ipsa eum redimat».

  1. BSSS 106, pp. 36-38, doc. 19 del 1139. Ancora nel maggio del 1143 una vendita stipulata in Chieri tra due coniugi e la chiesa di San Pietro di Rivetta ha il prezzo espresso in denari pittavini: BSSS 86, pp. 51 sg., doc. 36.
  2. BSSS 9, pp. 19 sg., doc. 12, cit. sopra a nota 105.
  3. BSSS 9, pp. 20 sg., doc. 13.
  4. Cfr. BSSS 9, p. 27, doc. 20: si tratta di una vendita del 1164, in cui agiscono nel ruolo di acquirenti gli eredi di uno dei due prestatori che presero in pegno nel 1151 gli otto iugeri di arativo appena citati a testo, in cui il prezzo venne pagato parte in moneta segusina, parte in moneta pittavina. Questo documento fa parte, insieme con quello citato alla nota precedente, di un interessantissimo gruppo di carte che documenta l’attività di una famiglia di prestatori eporediesi. Si veda anche BSSS 9, pp. 21 sgg., docc. 14, 16, 23.
  5. D. Promis, Monete reali di Savoia, I, Torino 1841, pp. 1 sg., 60; cfr. BSSS 106, pp. 43 sg., doc. 44 del 18 giugno 1164.
  6. BSSS 45, pp. 93 sg., doc. 91 (2 aprile 1109, «Apud Aviliana»): «et insuper penam librarum decem denariorum bonorum Secusiensium». Cfr. G. Vernazza, Della moneta Secusina, Torino 1793, p. 8. Previté Orton, The Early History cit. (sopra, nota 2), p. 276, in un sintetico accenno relativo alla zecca di Susa ne attribuì la fondazione a Uberto II sulla base dell’opera di Promis (cit. alla nota precedente) e, in particolare, del documento da questi citato e datato erroneamente al 1104, che portava a concludere che i denarii Secusienses non potevano certo essere stati coniati per la prima volta nel corso della minorità di Amedeo III; del fantomatico documento del 1104 non potè, naturalmente, prendere diretta visione, mentre citò dalla stessa edizione qui utilizzata il più tardo documento del 1109.

Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>