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26 Antonio Olivieri

redatto in forma di concessione unilaterale, vide da una parte il vescovo Alrico e l’avvocato della chiesa astese Gezo e dall’altra i rappresentanti degli uomini di Montaldo che detenevano terre dell’episcopio astese in Montaldo e nel suo territorio. L’accordo prevedeva che gli uomini di Montaldo avrebbero seguito le consuetudini alle quali si uniformavano gli «omines abitatores in loco Sancte Martine», pagando canoni in natura al vescovo, mentre alla canonica cattedrale di Asti avrebbero dovuto pagare due denari di conio pavese a titolo di amiscere e, per finire, ciascuno dei concessionari sarebbe stato gravato di una albergaria invernale1.

Oltre all’idea del prestigio di cui la moneta pavese doveva allora godere nell’Astigiano, lo stesso prestigio che ne favoriva, come si è visto, la circolazione nel Novarese fra il secondo e il quinto decennio dello stesso secolo, è probabile che queste testimonianze riflettano anche la pressione che fenomeni di disallineamento tra le specie monetarie circolanti esercitavano sugli operatori economici e sui responsabili della mediazione documentaria, quali i notai. In ogni caso, tra la superstite documentazione astigiana degli anni successivi non si rinvengono documenti analoghi: non si hanno carte che documentino tipologie contrattuali analoghe a quelle appena viste – carte di livello, brevi di concessione fondiaria – né emergono altre menzioni di moneta etichettata. Non mancano, beninteso, menzioni generiche di somme di denari d’argento, soprattutto come prezzo di vendite, ma occorre attendere il periodo successivo alla celebre pacificazione della Garsia tra i canonici della cattedrale di Santa Maria e il giovane comune cittadino (maggio 1111)2, che interrompe un quasi decennale silenzio documentario, per incontrare una ulteriore traccia di circolazione di una specifica moneta, o meglio di una moneta con una denominazione specifica: nel luglio 1123 Guido «Astensis causidicus» documentò in un «breve recordacionis» una vendita dei consoli astesi alla chiesa cattedrale di Santa Maria di una terra sita in città al prezzo di dieci lire «denariorum bonorum Papiensium medie monete»3. Lo stesso tipo di moneta è ricordato in un documento del tutto simile redatto dallo stesso Guido nel mese successivo4.

Per gli anni che seguono si ha qualche altra traccia di questa “mezza moneta”: in una vendita del 1129 di una terra in Rivarupta, nel territorio di immediata proiezione esterna della città di Asti, per un prezzo fissato in otto lire e quattordici soldi «medie monete», senza il ricordo della provenienza

  1. BSSS 28, pp. 318 sg., doc. 162 (settembre-dicembre 1029, s. l.): il documento è mutilo della parte iniziale; il regesto dell’editore, Ferdinando Gabotto, è errato. Il perfezionamento dell’accordo comportò la restituzione al vescovo Adelrico e all’avvocato Gezo del pegno che essi aveva no consegnato alla controparte «in sipulchri».
  2. Cfr. G.G. Fissore, Autonomia notarile e organizzazione cancelleresca nel comune di Asti, Spoleto 1977 (Biblioteca di studi medioevali, 9), pp. 25-30.
  3. BSSS 37, pp. 8 sg., doc. 6 (23 luglio 1123, «in suburbio civitatis Aste»)
  4. BSSS 37, pp. 9 sg., doc. 7 (29 agosto 1123, «in suburbio civitatis Aste»): i consoli vendettero alla stessa chiesa una estensione di bosco posta «in foresto Noni» per trentotto lire di buoni denari pavesi «medie monete».

Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>