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stanza, sarebbe corsa ai loro danni con più furore. Per la qual cosa erano in grande apprensione di mali; confortandosi solo nella poca fede che prestavano a tutto il racconto di que’ due.

Ma corsi pochi dì, si volsero in certezza i loro dubbi per l’avvento del Legato Sicherio. Il quale innanzi compiere la sua ambasciata appresso Milano, si appresentò in Lodi, credendo arrivarvi come un salvatore, e trovar tutti i cittadini piagnenti colle croci in collo e gridanti soccorso. Andò fallito il Conte: imperocchè stretti a consiglio i Consoli e e il Maestrato della Credenza, e mostrate loro le lettere di Federigo, che recavano ai Milanesi il regio comandamento, non che vederli trasecolati per la gioia, maravigliò del dolore che si affacciò su i volti. E rotto il silenzio un de’ Consoli gli disse «Maravigliamo, o Sicherio, di quel che ci rechi: per dio, che non consigliammo, e neppur sapemmo dell’andata in Germania di Albernando ed Omobuono; non pensammo punto ad ottener queste lettere, di che ci regali. Maravigliamo del come que’ due dissennati abbiano osato tastare un negozio, da cui può nascere niente meno che il subbisso di noi tutti e di ogni nostra cosa. Ed ove anche fosse stato salutevole il partito, era questo il tempo ad usarlo, lontano il Re, vicinissima Milano? Non è follia invelenirla contro a noi con queste lettere, trarcela sopra senza speranza di aiuti? Se non ci vuoi morti, lascia stare Milano, torna al Re, e rapportagli delle nostre grazie, e della non compiuta legazione come a noi pericolosissima; metti nelle nostre mani le regie lettere. Quando ci sarà alle porte il regio soccorso, penserem noi a denunciarle a’ Milanesi.»

Sanissimo consiglio: ma il Conte non era venuto a fare il bene dell’Italia; era venuto a dividere, ad attizzare le nimicizie sotto le sembianze di paciere e di salvatore; perciò non si arrese alle parole del Console. E vieppiù incaponì nell’andata a Milano, da che vedevasi fallito nella speranza di festose accoglienze, e di grassi regali, che