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d’incoronar Federigo e di aiutarlo secondo giustizia1. Non mancavano appicchi a quella guerra: poichè risaputosi del novello Re, Roberto Principe di Capua, Andrea Conte di Rupecanina, con una frotta di Baroni pugliesi, spogli da Roggiero delle loro signorie, lo vennero pregando di aiuti contro il Normanno. Durassero, rispondeva il Barbarossa, sarebbe venuto colle armi a soccorrerli nell’anno 1154. Queste lamentazioni erano appunto le cose che più bramava il Tedesco, e ad eccitarle, con molto accorgimento cercò spargere fama di sè, come di giustissimo, di terribile vendicatore delle ingiustizie. Ai Principi non mancano i mezzi a far parlare di loro.

1153. Convocò un gran parlamento in Costanza nel marzo del 1153, proponendosi ministrar giustizia a tutto il mondo. L’esteriore apparato di questa solenne cerimonia fu tale da farlo credere ai Tedeschi, non agl’Italiani, che non vi andarono. Fece rizzare innanzi alle porte della chiesa maggiore un seggio riccamente addobbato su de’ gradi, che sfolgoranti di oro recavano in fronte questa scritta vermiglia — Venisse ogni uomo a piatire contro il suo capo, Barone, Conte ed anche Re; avrebbe la sua ragione — Molti Re erano nominati in quell’invito, anche quello d’Inghilterra; del Francese solo tacevasi. Per tre dì si mise a sedere su quel seggio Federigo; una spada sguainata gli era innanzi, nella cintura pugnali, a simbolo dell’universale sindacato. Gli erano ai piedi tutti in armi il Re di Boemia maggiore Giustiziere dell’Impero, l’Arcivescovo di Colonia e quel di Treviri Arcicancellieri, e quel di Magonza Protonotario a ginocchio piegato. Il Conte Palatino, che era Ottone Duca di Lorena, preposto agl’interpetri, recava le querele al Duca di Baviera, gran Camerlengo dell’Impero, il quale solo poteva accostarsi per deporle nelle orecchie di Federigo. Vi fu moltitudine di accusatori, ma Tedeschi: il dramma volgeva al termine; Italiani non comparivano, se ne andava

  1. Baron. 1152.