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si guardavano. Non era fiume nè monte che dividesse i loro contadi; perciò nella dilatazione della loro potenza dovevano urtarsi ed essere in un continuo misurare delle forze. Spingeva Pavia ad entrare innanzi a Milano la memoria della stanza che ebbero in lei i Re d’Italia; questa il diritto d’incoronarli colla corona di ferro. Importune memorie a città che si tenevano in punto di Repubbliche, sempre opportune alla superbia del municipio. Vero è che Milano avanzavala per larghezza di dominio, e copia di ricchezza1. Ambe potenti, e cupide di più vasta signoria, volendo ciascuna assoggettarsi le città minori, accesero un grande fuoco di guerra, in cui queste prendevano parte e si divisero in fazioni; chi per Pavia, chi per Milano teneva. Crema, Tortona, Brescia, Parma e Modena stava per questa; per quella Piacenza, Reggio, Lodi, Novara, Cremona, Asti. Nella lotta prevalsero i Milanesi, come più poderosi; andavano però a pari co’ Pavesi nell’impeto e pertinacia degli odi. Fin nell’anno 1059 appiccarono una feroce battaglia, in cui i Pavesi ebbero la peggio; ma fu menata d’ambe le parti tale una strage, che il luogo della zuffa fu chiamato Campo morto2. E quante volte poi fra loro vennero alle mani, quasi sempre i Milanesi toccavano la vittoria.

Per la qual cosa questi fatti baldi dalla propizia fortuna, si volsero non solamente a guerreggiare per gli aperti campi, ma a porre assedi alle città che tenevano per la nemica Pavia. Dopo avere per quattro anni con varia fortuna osteggiata Lodi, sorretta dagli sforzi di Cremona e Pavia, nell’anno 1111 a dì 24 di Maggio, stremati per fame e fatiche i Lodigiani, se ne impadronirono. Smantellarono le mura, abbruciarono le case, e condussero i miseri cittadini ad abitare sei distinte borgate, assoggettandoli a durissima legge. Corsero quarantasette anni da quel soqquadro fino a che non risorse una novella Lodi poco lungi dalle rovine

  1. Arnulphus Hist. Mediol. lib. 3 c. 6.
  2. Idem lib. 3. c. 5. 6.