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libro primo 73

ciale. Di questo germe gl’Italiani avevano la coscienza: imperocchè quando più disperatamente combatteva le altre città la prepotente Milano, si levò in essa una voce profetica, che addimostrò come gl’Italiani riconoscessero il disordine che era in quelle fraterne nimicizie, e l’ottima cosa che sarebbe stata quella di fondere le differenti patrie naturali in una comune patria politica. Uberto Abate sermonando a Milano prorompente a guerra, le gittò innanzi queste parole ad arrestarla — Tu fai di disertare il Cremonese, di rovinare il Pavese, di subbissare il Novarese. Tu contra tutti, tutti contra te.... Oh! quando avverrà quel giorno, in cui il Pavese dirà al Milanese: Il popolo tuo è il mio popolo; il Cremonese al Cremonese: La città tua è la mia1

Dissi essere stati gl’Italiani veramente Romani in mezzo alle furie cittadine, è tempo oramai che io li addimostri tali, appressandosi il risorgente Impero nel Barbarossa, che li minaccia di novello servaggio. Vediamo quali li trovasse il Tedesco, che credeva intimorirli colle armi, e persuaderli col freddo sillogismo del diritto.

«Tuttavolta (è Ottone Vescovo di Frisinga2 testimone di veduta che parla) gl’Italiani, dati giù i feroci spiriti de’ Barbari, (forse dall’aver questi per paesani matrimonî generati figliuoli, che dal materno sangue, dall’indole dell’aere e del suolo presero la gentilezza e il senno Romano) essi Italiani nella eleganza della favella e nella cortesia de’ costumi sono ancora Latini. Anche nella ordinazione cittadina e conservazione della pubblica cosa tolgono ad esempio la politica degli antichi Romani. Sono poi così teneri di libertà, che a cessare la tirannide si

  1. Tu supplantare quaeris Cremonensem, subvertere Papiensem, delere Noveriensem. Manus tua contra omnes, et manus omnium contra te... Oh! quando erit illa dies, ut dicat Papiensis Mediolanensi: Populus tuus Populus meus; Cremonensis Cremonensi: Civitas tua civitas mea.... Ap. Murat. Antiqui. Ital. diss. 45.
  2. Lib. 2. Cap. 13.