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anche essere Re d’Italia: ve lo tirava quello scettro d’oro che si fece consegnar Berengario. Battagliarono l’italiano ed il tedesco Re: quegli fu vinto; imperocchè ponendo mente alla gelosia che portavano i signori laici alla prepotente cheresia, Arduino sicuro nella regia potestà, disfogò quella troppo presto, e alla brutale. Quell’afferrare pe’ capelli, ed atterrare ai piedi il Vescovo di Brescia, narrato da un Tedesco, se non fu tutto vero, fu almeno un malvaggio trovato, cui dava corpo la superbia del Re verso i signori chericali1. Egli fu abbandonato dai Principi e dai Vescovi, ne’ quali l’odio allo straniero fu sopraffatto dalla gelosia dell’aggrandito Marchese d’Ivrea. Vollero, ed ebbero poi sempre Tedeschi.

E qui è a notare come i Cieli ad un tempo mettessero addosso a questa nostra Italia una pessima piaga; e dentro le andassero disponendo tutte le cause della sua libertà, vicine a recare il salutifero frutto. Mi avvicino a questo.

Creato Re di Germania Corrado, (era d’un’altra razza, di quella Ghibellina) i Tedeschi oramai addestrati alla tedesca logica, dissero — Dunque egli è anche Re d’Italia — Ma in Italia il popolo incominciava già a rispondere del nò con certi argomenti di diritto e di fatto, che Barbarossa trovò convincentissimi in tempi posteriori. Smembrate le vaste signorie, il popolo respirava pei pori di quelle disgregate potenze. V’erano i potentissimi Vescovi; ma altro era dar col capo al petto tutto di ferro di un Conte o Marchese, che a quello di un prelato che recava la croce. E poi i figli stretti alle spalle del padre non lasciavano spazio ad entrare al popolo dopo morto colui: ma morto il Vescovo, v’era sempre un po’ di tempo, in che il popolo non aveva padrone di fatto. Il popolo si educa presto, e non abbisogna di filosofi. La coscienza de’ propri diritti gli presta i nervi, le circostanze glieli muovono. Vediamo come incominciassero a muoversi.


  1. Ditmari. Chron. ap. Leibniz. R. Brunswik. Scrip. p. 1.