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libro primo 51

liberasse l’Italia dal mal governo di Berengario,1 lo avrebbero scelto Re a sua vece. E qui ci si para l’aristocrazia chericale, come più offesa dal Re, prima a chiamare il Tedesco: lo che addimostra e la sua potenza superiore a quella degli altri Conti, e la sua adesione nell’avvenire ai dominanti d’oltremonte. Così dunque grossi e potenti i Vescovi coi Conti incontrarono in Val di Trento Ottone detto il Grande; lo condussero a Pavia2; poi quel Gualberto Arcivescovo di Milano, che fu a capo di tutti i Principi nella chiamata del Tedesco, con trasformata allegrezza lo vestì, lo coronò, l’unse, lo carezzò, e che so altro, Re d’Italia3. Il Papa ed i Vescovi fecero venire Ottone, e primi se ne pentirono: ma innanzi toccare del principio delle guerre tra la Chiesa e l’Impero, è mestieri arrestarci ad Ottone ordinante la feudalità alla tedesca.

Ponendo mente a quel diritto di scegliere un Re, che avevano i Principi feudali d’Italia, di corto veniamo chiariti della ragione, per cui fragile addivenisse la regia potenza, ogni dì più minacciosa quella dell’aristocrazia. A chi corre con gli occhi del corpo, non con quelli della mente, su le pagine delle italiane storie del IX e X secolo, non appariranno condotti da alcuna fermata sentenza, o meglio principio politico i Principi feudali. Sembra che tutto guidi il caso, tutto sia mosso dalle ambizioni de’ capi adoperanti forza tutta materiale, non punto valentisi di opportuni accorgimenti politici. Ma le cose non andavano così alla scapestrata: i Conti, e massime i Vescovi, sapevano quel che si facessero. Poichè mettevano corona sul capo di un Re, tosto gli occhi dell’incoronato da supplichevoli, che erano, addivenivano torbidi per gelosia d’imperio: la memoria del beneficio volevano i Re, che svanisse dalle menti; volevano

  1. Liutpr. Hist. Lib. 6. c. 6.
  2. Ib.
  3. Landulf. seni. Hist. Mediol. l. 2. c. 16. R. I. S. T. IV.