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libro primo 37

presso gli stessi Vescovi dichiararono caduto di trono lo stesso Carlo. Questi chinò umilmente il capo, si tenne contentissimo della sentenza; perchè, disse, che i Vescovi erano il trono, su cui Dio si asside a giudicare1. Ciò che io tocco della Francia è da affermarsi di tutti i regni Cristiani, vale a dire che la Chiesa fosse per consenso dei Principi come un tribunale di appello di supremo giudizio. Prime ne incominciarono ad usare le chiese nazionali, come più immediate ai troni, poi la Romana come universale. Nel nono secolo amministrarono i Vescovi, nel decimo i Papi.

Da questo conseguitò l’enorme vena di ricchezze che andò a colare nelle chiese. La pietà religiosa consigliò dapprima le oblazioni, gl’interessi politici de’ principi le accrebbero. Coloro che d’un cenno potevano rompere il vincolo della suggezione de’ popoli, dovevano carezzarsi, e tenersi in onore da chi voleva essere Re; perciò l’episcopato andò innanzi a tutta l’aristocrazia civile. Ma poichè le oblazioni si facevano secondo la ragion feudale, avvenne, che i Vescovi mentre sedevano giudici de’ civili negozî, si lasciavano imporre dalla civil potestà il giogo delle investiture de’ loro feudi. Essi predicavano, i patrimonî delle chiese essere cosa tutta di Dio; e non vedevano la conseguenza che si derivava da quella vera sentenza, che chi investiva del feudo il nuovo Vescovo, investiva anche della Chiesa resa tutta una cosa col feudo. La pinguedine de’ patrimonî li rendeva poco veggenti, e frugati dal desiderio di accrescerli, a quei Principi, che essi giudicavano, si assoggettavano, non come qualunque altro suddito, ma come cortegiani, che palpano il Principe a meglio smungerlo. Ne avvenne poi, come tutti sanno, che il chericato impaniato nel regno di questo mondo, slombato dall’indecente concubinato si addormisse vilmente nelle corti, ed i Principi entrassero a farla da padroni nelle chiese.


  1. Schmidt, T. 2. p. 217.