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Pontefice. Questi alle infule pontificali aveva aggiunto corona di principe pel novello stato donatogli da Pipino; e che vero principe fosse, è chiaro dalle parole della donazione fatta beato Petro, Sanctaeque Dei Ecclesiae, vel Reipublicae Romanorum. Questa voce di Repubblica non sonava che Impero Romano, come bene avverte il Muratori1; perciò la donazione era fatta al Papa non solo come a successore di San Pietro, ma anche come a capo del Romano Impero. Non è punto nominato l’Impero, perchè nel fatto lo rappresentavano ancora quei di Bizanzio, ma nel diritto si trovava solo in Roma.

Durò poco la concordia di quella Respublica Romanorum col Papa. L’elezione del nuovo Papa era il destro che afferravano gli ambiziosi a levare tumulto, per mettere in seggio chi loro piaceva: il Pontefice era di continuo tribolalo fuori dai Longobardi, che gli rubavano la signoria donata dai Franchi, e dentro dalla nascente peste del Patriziato. Pasquale Primicerio e Campula Sacellario, o sagrestano, della Romana Chiesa con molti maggiorenti congiurarono contra Papa Leone III. e gli furono addosso coi pugnali, mentre conduceva la processione delle Litanie maggiori. E con tanta furia di percosse l’oppressero, che il rimaner vivo fu riputato miracolo, e non incredibile, che gli avessero troncata la lingua e cavati gl’occhi. Così bestialmente profanata la pontificale persona, Leone si avvisò, quelli non esser tempi da tenere inviolata la libertà e la dignità del supremo sacerdozio, senza una suprema e continua protezione di civile potere. Per la qual cosa chiamò di nuovo Carlo in Italia, e lo incoronò Imperadore. Funesta incoronazione! — A Carlo piissimo Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico Imperadore vita e vittoria — gridò il Pontefice; e con queste parole incominciò la storia delle italiane sventure. Egli colla destra pose sul capo di quello straniero una corona di oro, ma colla sinistra, senza saperlo, ne pose una di spine sul capo

  1. Antiqui. Med. Ævi. Diss. 18.