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libro quinto 335

per cui fu molto indugiato il cammino dell’esercito, ed appariva impossibile il campeggiare le loro terre, li chiarì del favore celeste: Dio e la patria li sorreggeva.

Piantate le macchine a riguardo de’ bastioni, come era più a battagliare con gli uomini, che con le mura, Federigo lanciò i suoi all’assalto, sperando entrare nella terra col vivo della forza; ma trovò un duro scontro. Gli Alessandrini lo aspettarono a piè fermo, e ne seguì un feroce conflitto. Furono ributtati i Tedeschi con tanto impeto, che non giunsero a salvare le macchine da battere prese dagli assediati, i quali vennero fuori inseguendoli fino agli alloggiamenti.

Questa prima fazione come accrebbe a dismisura gli spiriti agli Alessandrini, sospinse ad incredibili furori il Barbarossa, che si vedeva così spuntato l’imperiale orgoglio da una cittaduzza, che non aveva pure palmo di muro che la coprisse. Entrava il verno; il suolo per le piogge e il traripare del Tanaro era tutto una palude. Infermavano i soldati; mancavano i foraggi; vacillava la costanza dei capitani. Questi furono attorno a Federigo, pregandolo con molte e vere ragioni a ristare da quello assedio, tramandandolo a tempo più propizio, ed a salvare l’esercito, che senza frutto e gloria sarebbe stato presso che distrutto al cospetto di quella vil terricciuola. Il Tedesco non volle sapere di ragioni: voleva inabbissare Alessandria. Continuò a stringerla con tutti i mezzi, che l’arte della guerra offeriva a quei tempi, per ben quattro mesi. Marcivano nella melma le milizie, morivano, disertavano le insegne: Barbarossa non si scuoteva. Come ad ultimo argomento si appigliò a far minare la terra. Fece con molte cautele, perchè non se ne addassero gli assediati, aprire una galleria, da prolungarsi fino nel cuor della città, per cui era per entrarvi improvvisa la sua gente. Con grande silenzio, e difficoltà procedevano i minatori1.

  1. Sir. Raul. p. 1192 = Otto de S. Blasio c. 23. = Card. Arag. Vita Alex. III p, 464. = Romual. Salern. p. 213. Vol. VII. S. R. I.