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sua balia, pure si tennero dall’arrestare il corso dell’esercito, aspettando coglierlo all’aperto dopo qualche lungo assedio, che gli avesse spuntato l’ardire e le forze.

Non mancò il destro: Federigo non procedeva con quella maturità di senno con cui si governavano i collegati. La memoria dei patiti oltraggi, l’impetuoso desiderio di afferrare il perduto, la vendetta che lo affogava, lo resero assai male avveduto nella condotta della guerra. Quell’Alessandria sorta prodigiosamente a suo dispetto lo tirava: moriva di voglia di svellerla tosto dal suolo, e così purgare la imperiale maestà di una brutta macchia. Assicuravalo nell’intento la facile dedizione di Asti; lo confortavano il Marchese di Monferrato, i Pavesi ed i Comaschi1, che entrati con fallace intendimento nella Lega, ora se ne ritraevano per unirsi di nuovo al Tedesco, Uberto d’Incisa, Enrico il Guercio di Savona con Uberto Conte di Savoia. Adunque Federigo venne con formidabile apparato di macchine da guerra a porre l’assedio ad Alessandria nel dì 29 di Ottobre. Gli Alessandrini avvegnachè intenti ad alzar le mura, pure non erano giunti per difetto di tempo a fabbricarne tanto che bastasse a chiudere la città, ed assicurare i difensori: un profondo fosso ed il petto de’ cittadini era la difesa della città2. Il baluardo che le andava intorno non era che una levata di terra, opportuna appena a proteggere i combattenti che vi si affacciavano, non che ad assicurare la città. Tuttavolta gli animi de’ cittadini erano egregiamente disposti a resistenza, come quelli che erano deputati dalla Lega a campioni della libertà Lombarda e del Papa, da cui si nominava la loro patria. Peraltro era ben poderoso il presidio che vi avevano messo dentro i Rettori della Lega, composto delle taglie de’ fanti e cavalieri, che ciascuna terra federata aveva fornito. Le piogge che si erano messe assai stemperate, l’ingrossare de’ fiumi,

  1. Vedi Quadrio Dissert: intorno alla Valtellina, Diss: V. p. 211.
  2. Rom. Salernit: Chron. S. R. I. Vol. VII. p. 213.