Pagina:Storia della Lega Lombarda.djvu/339


libro quinto 333

non potendo disfogare la collera contro gli uomini, la scaricò su le case, che agguagliò al suolo; e di Susa non fu altro, che una petraia. Andò a tentare Asti. Questa città, che tanto volenterosa era entrata tra le prime nella Lega, fallì sconciamente alla espettazione in che erano i collegati della sua resistenza, e alle molte munizioni che quelli vi aveano spese per assicurarla, assediata che fosse. Numeroso presidio aveva, ottimi ingegnieri eransi deputati dalla Lega a condurre le opere della difesa; e finalmente la promessa di un esercito che sarebbe venuto a liberarla. Per soli otto dì sostenne l’assedio, a capo de’ quali si arrese con vantaggiose condizioni: e per la fermezza in cui poi tenne per l’Impero, diè chiaro a vedere, che per impervertiti consigli si fosse così profferta alla balia del Tedesco1.

Con molta maturità di consigli governavano i collegati le cose della guerra. Essi avevano deliberato di rimanersi dalle grosse fazioni coll’esercito imperiale e lasciarlo andare agli assedi delle terre; i quali per le munizioni di cui erano ben provvedute, e per gli animi risoluti che li sostenevano, sarebbero andati molto per le lunghe. Il quale indugio avrebbe tosto condotto il nemico a pessimi termini senza logorare le forze della Lega. Imperocchè essendo l’autunno, le intemperie delle piogge, il traripare de’ fiumi, che sono frequenti nei piani Lombardi, avrebbero reso ai Tedeschi incomodo ed anche esiziale il campeggiare all’aperto. Dalle quali importunità di tempo e di luoghi sfiancato che fosse l’esercito, sarebbe tornato facile in una giornata romperlo, e rimandarlo a casa. Così schivarono qualunque sinistro, il quale nel bel principio della guerra avrebbe fatta una mala impressione negli animi dei collegati; conoscendo a pezza que’ prudenti, quanto siano tenere le Leghe, e quanto attentamente siano a vegliarsene i principî, perchè non si risolvano. Per la qual cosa avvegnachè al primo entrare in Italia del Barbarossa Asti ed altre città fossero cadute

  1. Card. Arag. p. 463.