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280 | della lega lombarda |
Ora conterò la risorrezione de’ Lombardi a novella vita per uno stupendo prodigio di carità cittadina, che quando si appiglia ad italiani petti, è cosa veramente di Dio. I mali fino a quel tempo durati sotto la sferza dei Podestà, avevano, la mercè del Cielo, eruditi gl’Italiani della vera fonte onde scaturivano, dico la maledetta discordia; li avevano purificati e fatti degni di comprendere ed aspirare alla morale unità civile. Iddio era con essi, perchè santificati dalla sventura.
I Milanesi, che eransi dispersi per le vicine città, facevano una grande pietà, perchè patria non avevano. Quelli che erano stati loro nemici ai tempi felici, ora dividevano con essi il tetto e la mensa, e gli animi dolcemente si mescolavano coi santi uffici della ospitalità: si obbliavano le vecchie offese, si risolvevano i cupi livori; e quelli, che si sconobbero uomini nel seno di una stessa patria, si abbracciavano fratelli in quello di un comune infortunio. Oh! quante volte forse il Cremonese, il Pavese co’ suoi figli e la sua donna pendevano impietositi dalle labbra dell’esule Milanese, che assiso ad uno stesso desco, contando degli antichi tempi della sua Repubblica, e del come la sprofondasse l’ira tedesca, comperava il pane dell’esiglio col racconto de’ dolenti casi! Allora io mi penso, che tutti si scoprissero a vicenda le piaghe che loro aveva aperto il disonesto straniero, e con un solo sospiro si avvicendassero — Oh! fosse in piedi Milano! — Ed in vero quella grande città se un tempo trascorse in male opere verso le vicine terre per troppa sete di signoria, fu sempre un fortissimo antemurale, che tutelava la Lombardia dalla nortica petulanza, e sicuro rifugio agli snidati dalle loro patrie. Que’ maravigliosi Torto-