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scovi di Spira, di Verden, di Ratisbona, di Liegi, di Nassau e di Altemont, di Lippa, di Sultzbach, di Tubinga, ed oltre a due mila magnati, miseramente finirono la loro vita al cospetto di Roma.

Io non so che si pensasse Federigo di quel flagello, che gli prostrava morti per terra il numeroso esercito ed i suoi più cari, e lo faceva deserto nell’ora del trionfo. Credo, che a Dio non pensasse, bensì a que’ Lombardi, che calpestò supplichevoli, e che ora doveva egli supplicare per avere via di ritorno a casa sua. Raccolse tosto le reliquie del disfatto esercito; affidò gl’infermi alla pietà de’ Romani, e con quelli che ancor reggevano a portare armi, lesto si ritrasse per la Toscana a guadagnare le alture dell’Appennino. Lagrimevole viaggio: poichè tanto ostinato si era messo nelle milizie il veleno delle Romane maremme, che il cadere de’ morti non rifiniva per benignità di aere. Così punivano i Cieli nel furibondo Tedesco la violata santità della Chiesa, e la dignità di un popolo, che Iddio veglia con gelosia terribile1.



  1. Contin. Acerbi Morenae p. 1152. 1153 — Card. Arag. p. 459. — Otto e S. Blasio Chron. c. 20. p. 875.