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libro terzo 259

lo andarono seguendo come risapevano della sua fuga. Per Terracina e Gaeta riparò nel Ducato Beneventano, patrimonio della Chiesa. I Romani si arresero: e con nuovi giuramenti si legarono al Barbarossa1.

Questa fuga del Pontefice andò proprio nel cuore del Barbarossa, egli la tenne più perniciosa di una sconfitta. Alessandro esulava questa volta da Papa già riconosciuto, e riverito dal mondo; perciò al Tedesco si appresentava con tristi colori lo scandalo che patirebbero i fedeli nel risapere che il loro Pastore ramingasse per sua colpa, ed il molto danno che gliene verrebbe. Ma i mali che temeva lontani gli erano già alle spalle, e i Cieli gli fecero sentire lo scroscio di una subitanea vendetta, che indugia spesso, ma non fallisce mai. Era l’Agosto: stemperati calori contristavano il romano aere, e le asciutte maremme esalavano tale una sottil pestilenza, che si avventava irrimediabilmente ai corpi, e li sfaceva per febbre. Uomini nati sotto rigido cielo, quali erano i Tedeschi, a più certa e subita fine rovinavano. Lo sapevano, perchè usi a venire spesso in Italia; e la notizia del crudele malore ne intristiva ne’ corpi gli effetti. Sapevano che Papa era Alessandro; e le scomuniche, che questi aveva adunate loro sul capo, scendevano negli egri spiriti a conturbarli di sovrumane paure. Fumavano ancora le arse mura di S. Maria, rosseggiava ancora per sangue lo sforzato seggio del Beato Pietro, e a quella vista affannava gl’irsuti petti un nero rimorso, ed il presagio di celesti vendette. Gli animi erano già infermi quando il pessimo morbo si appiccava ai corpi. In sette dì tutta l’oste del superbo Imperadore fu poco meno che distrutta per febbre. Chi infermava il mattino a sera finiva. Nè la morìa infuriò solo tra’ gregarî: anzi colse le parti più elette dell’esercito. Federigo duca di Rotemburgo cugino del Barbarossa, Guelfo Duca di Baviera, quel mal cristiano di Rinaldo intruso Arcivescovo di Colonia e Cancelliere, i Ve-

  1. Acerbus Morena p. 1151. 1153. Card. Arag. 458.