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libro terzo | 253 |
al prepotente nemico; profferì l’ecclesiastico tesoro per la difesa. Ma fu tutto invano: tra il balenare dei timidi, e l’aperta ribellione degli audaci, de’ tanti che l’avevano festeggiato l’anno innanzi, non si trovò uno che gli facesse viso da amico1. Eppure italiani spiriti riscaldavano quel pontificale petto. Non la sola ragione divina della Chiesa egli voleva difendere, bensì anche quella umana della comune patria; e ne dette uno splendido argomento in quello che si passò tra lui ed il Greco Imperadore.
Emmanuele dei Comneni teneva a quei tempi il trono di Costantinopoli; uomo di molta ambizione, e di eguale virtù militare. Per la qual cosa malamente portò sempre quella estinzione della greca potenza in Occidente, e sempre fu desto a spiare qualche via a tornar signore nell’Italia. Ebbe in tutto il tempo che governò, e fu di trentasette anni e cinque mesi, quattro nemici, con cui fu sempre in guerra. I Turchi ad oriente, l’Ungheria, sorretta dall’Imperadore tedesco a maestro; Venezia a ponente, ed a libeccio il Normanno di Sicilia. Tenne fronte a tutti con varia fortuna, non levando mai gli occhi dal Papa; il quale come era stato incoronatore di tedeschi Imperadori, tribolato da questi, poteva a se, successore di Costantino la corona del Romano Impero tornare. Ma mentre sospirava a così grande cosa, non ne trascurava una minore, quale era il togliere ai Normanni la Sicilia, la Calabria e la Puglia, sicuro, che mettendosi al posto di Ruggiero o di Guglielmo, lo innalzarsi all’Impero Romano sarebbe stato facile. Anche egli pensava all’Italia. Adunque fin dai tempi di Adriano erasi mostrato bramosissimo della riunione delle due Chiese Greca e Latina, consueto artifizio de’ Bizantini ad accattare il favore di Roma. E quando Alessandro si trovò tribolato dal Barbarossa per l’Antipapa Vittore, il Comneno gli profferiva, scrivendo a Luigi di Francia, la sua amicizia, e si admostrava paratissimo ad accogliere ed aiutare ad una no-
- ↑ Id. ib.