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libro terzo 251

dendo piuttosto la morte, che il durare in quella sciagurata vita, la quale era veramente importabile da uomini. Federigo fu fedele all’andazzo de’ Principi pari suoi. Diè le viste della maraviglia; disse, non sapere di quelle tirannidi; volersene certificare; volerle punire. Non se ne certificò, perchè le sapeva; non le punì, perchè le voleva; ed i Lombardi rimasero colle croci in mano1.

1167 Federigo non ancora temeva de’ Lombardi, perciò era una gioia per lui tenerseli sotto i piedi: ma delle due Repubbliche genovese e pisana avea timore, e mestieri ad un tempo. E come fu uomo prepotente con gl’inermi ed oppressi, fu scaltro quant’altri mai con quelli che avevano nelle mani nerbo di forze. Aveva doma la Lombardia fomentando le municipali discordie; volle, e raggiunse l’intento, di rendersi innocua Genova e Pisa con lo stesso argomento de’ provocati scandali cittadini. Egli facendosi arbitro delle loro contese pel possesso della Sardegna, aveva insaccata molta pecunia, e con molta consolazione aveva visto logorarsi con iscambievoli guerre quelle due Repubbliche. Al parlamento di Lodi gli ambasciadori Pisani e Genovesi fecero un grande schiamazzo innanzi al suo tribunale. Quelli lamentavano e chiedevano giustizia, perchè Genova si aveva fatti tributarî i due Giudicati di Arborea e di Cagliari in Sardegna; questi, perchè Pisa voleva far sua la Sardegna, la quale Genova aveva col conquisto tolta al Re Musetto. Pisa era più imperiale di Genova, e meno potente di questa; perciò Federigo dolcemente sentenziò a favore de’ Pisani; e perchè i Genovesi avessero più da pensare in casa propria, mise loro alle coste Guglielmo Marchese di Monferrato, il quale per tedesco aiuto aveva spogliata la loro Repubblica delle castella di Palodi e di Otaggi, e più voleva2. Così Federigo esaltava Pisa con incerti favori, per averla alleata contro Sicilia; abbassava Genova, che

  1. Sir Raul. = Card. Arag. Vita Alex. III. p. 457.
  2. Caffari Annal. Gen. lib. 2. p. 313 e seg.