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messo gli fosse innanzi comparso, avrebbegli fatto cavare gli occhi. Indecente minaccia per sacerdote. Gli Arcivescovi di Treviri, di Salisburgo e gli altri Principi dell’Impero, era fama, che sentissero come il Magontino, e che l’Imperadore non avesse con se che quel di Colonia ed il Duca di Sassonia. Tutti tra per timore e vile cortigianeria simulavano obbedienza a Pasquale, e nel cuore tenevano per Alessandro. Il Magdeburgense, che era uno tra questi, come Dio volle, capitò in mano de’ Turchi, tornando di Gerusalemme: nella cattività fece voto, che se avesse riacquistata la libertà, avrebbe pubblicamente aderito al vero Papa; come fece appena campato1.

Se queste cose avvenivano al solo spargersi della voce che il Papa tornasse in Roma, tornato, e rimesso in seggio, ne avvennero delle più gravi. Imperocchè Guido, ossia Pasquale III, che fino a que’ dì era andato colla fronte alta, abbassò le creste, e incominciò forte a temere, anzi a disperare del suo papato. I Lombardi rifiorivano di belle speranze, per l’oro di che fornivali Alessandro, e per la fervida opera, con cui intendevano i Veronesi e i Padovani ad abbarrar le vie al venturo Imperadore per le loro terre2; lo che accennava al virtuoso proposito di tenergli fronte a tutt’uomo.

Federigo provvedeva da lungi: nè tanto lo noiavano i moti della Marca Veronese, quanto il vedere in Roma Alessandro. Questi eragli impedimento ad allargare la signoria su tutta Italia, e gli turbava il possesso della misera Lombardia. Toglier quello di mezzo era per lui una vittoria che gli assicurava l’impero del mondo. Perciò anzichè accorrere presto a raffermare colla forza i Lombardi nel servaggio, convocava Concili. Radunò finalmente quello di Wirtzbourg. Non vi vennero che Tedeschi: e con quanta

  1. Epistola Otton. Card. ad S. Thom. Cantuar. ut supra.
  2. Card. Arag. Vita Alex. III p. 457 = Verci, Storia degli Eccelini T. 1. p. 225.