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libro terzo 243


Come la lontananza dell’Imperadore rendeva più ribaldi i ministri, così inanimiva i popoli a scuoterne il giogo. Erasi allontanato da Bologna certo Bezone Podestà, per far la corte all’Imperadore, che andava in Germania. Fu questo un bel destro che i Bolognesi colpirono a francarsi, tornando in piedi l’antico reggimento comunale. Crearono nuovi Consoli; richiamarono alla sua sede il Vescovo Gerardo, che si teneva nascosto nel monastero di S. Vittore. I Valvassori vicini, gente che abborriva le Repubbliche, e i due castelli di Badulo e Battidirro locati su i monti, che non vollero rispondere ai mutamenti della città, vennero colla forza domati. Sopravveniva Bezone, e trovato tutto quello scandaloso rimutamento, voleva farla da Tedesco; ma i cittadini la fecero da Bolognesi. Bezone fu spodestato per le finestre del palazzo comunale1. Queste salutevoli provvidenze di fatto non è a dire quali effetti producano nei popoli, cui non avanza a salvarsi che il furore. Piacenza tanto fortemente dovè scuotersi, che quel Alberto Barbavaria, spogliatore di S. Antonio, prese la fuga, recando seco, non avendo altro a rubare, le carte dei privilegi della città2. Così si andavano persuadendo i Lombardi, che ove fosse stata concordia di volontà e di forze, quello che Bologna e Piacenza faceva, potesse da tutti imitarsi non solo coi Podestà, ma anche con lo stesso Imperadore. I Lombardi portavano ancora il giogo sul collo, ma gli animi già disfrancati si andavano collegando, e tacitamente parlavano tra loro di libertà a riconquistarsi colla forza della unione.

Federigo tornato in Germania, non trovò le cose tanto tranquille da lasciargli nell’animo il solo pensiero della Italia. Eransi rinnovate le inimicizie tra la gente Ghibellina e la Guelfa; ed una ferocissima guerra si avevano mossa Ugo Conte di Toingen ed il Duca Guelfo il giovane. Con

  1. Sigonio lib. XIII p. 771 = Savioli Annal. Bologn. an. 1164. p. 349. e la nota (G).
  2. Sigon. ib.