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libro terzo 241

dore erano tutte italiane, le quali, distrutta Milano, non più sentivano dentro l’odio, per cui eransi intedescate; con tiepidi spiriti seguirono il Barbarossa. Andarono ad oste contro i Veronesi; le conduceva Federigo. Caddero nelle loro mani espugnate alcune castella; ma come improvviso si parò loro innanzi l’esercito de’ collegati, che animosamente chiedeva la giornata, sostarono, abbominando lo scellerato fratricidio. I collegati venivano a nome non di una città, ma dell’Italia conculcata dallo straniero, e la loro vista dovè concitare sotto le armadure de’ nemici un palpito che italiano era. Se ne avvide il Tedesco; e senza far pure un pericolo delle sue forze, suonò a raccolta, e con molta infamia si condusse a Pavia1.

I sospetti e le paure intenebrarono l’anima di questo truculento Imperadore; e disperando potere disarmare i nemici, intese a raffermare nella fede gli amici, se pure gliene avanzavano; perchè il grido levato dai collegati da Venezia, se non sul labbro, suonava già ne’ cuori di tutti i Lombardi. Incominciò a dispensare favori, a largir privilegi, sperando con queste grazie principesche sedare i bollori di un popolo che aveva sete di libertà. Spediva un privilegio a Ferrara, un altro a Mantova2, con cui allargava la potestà de’ Consoli; concedeva franchigie, prometteva il rispetto agli antichi statuti, giungeva fino ad obbligarsi a non far pace nè guerra co’ Veronesi senza il consenso dei Mantovani. Concedeva con le pergamene quello che le Repubbliche già afferravano con le spade in pugno. Blandiva con una mano, aspreggiava con l’altra, perchè i sospetti crescevano, ed adombrava alla sola vista di un Italiano. I Conti, i Marchesi che si vedevano condotti a mal partito dalle Repubbliche, e che perciò gli si tenevano fedeli, non ottennero la sua fiducia. Federigo li cacciò dalle rocche e dalle castella, e ne affidò la guardia a quei di puro san-

  1. Sigon. de Regno Ital. lib. XIII. pag. 769.
  2. Murat. Antiq. Med. Evi. Diss. 48. p. 258.