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riale, ed ogni apparenza di men crudo consiglio era per essi una speranza, che carezzavano nel profondo del cuore. Tale si fu il rilasciare, che fece Federigo in libertà gli ostaggi milanesi, e il deputare il Conte di Biandrate col Cancelliere a raddolcire le loro sorti. Dell’opera del Conte non sappiamo; so di quella del Cancelliere, che fu pessima. Come i deputati milanesi furono alla sua presenza, egli incominciò a far tutte quelle moine, che tengono in pronto i pasciuti nelle corti, facendo considerar loro il faustissimo avvenimento che fosse quello della visita di un Imperadore, la necessità di significargliene la contentezza con qualche spontanea oblazione. Credo, che così bordeggiando il Tedesco, dicesse con gli occhi, che voleva moneta. Ben lo compresero i poveri deputati, che venuti a chiedere un sollievo, si sentivano porre sul collo la legge di un novello tributo. Si gittarono per terra pregando il Cancelliere, che non volesse taglieggiarli più nelle sustanze, perchè n’erano smunti da mancar loro il necessario. Ma lo scellerato ministro, ed era un Arcivescovo, lasciandosi andare in terribile furore, appuntò al petto de’ preganti un perentorio di pochi dì, a capo de’ quali voleva nelle mani ottocento ottanta lire imperiali, che sommavano a 229000 lire milanesi di moneta moderna.1 I Milanesi furono messi alla strettoia, e dettero fuori le lire.

Incominciarono finalmente i Cieli ad avvertire Barbarossa, che anche per gl’Imperadori sia qualche legge, che li tenga al segno. Infermò l’Antipapa Vittore presso Lucca. Corse voce, che spaventato dalla imminente morte, chiedesse un sacerdote cattolico per acconciar le partite dell’anima, ma che gli scismatici lo avessero impedito. Egli se ne morì impenitente. Recato il cadavere alla chiesa di San Fridiano, i Canonici non lo vollero ricevere, per non contaminare sè ed il luogo santo. Gl’imperiali satelliti trovarono fuori la città certi monaci, che se lo presero, e ne

  1. Giulini Mem. di Mil. Par: VI. p. 320.