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libro terzo 233

devotamente si accollarono la cassa delle sante reliquie. Così tutto intenerito di quella pietosa traslazione, giunto in Pavia, il Barbarossa vendè Tortona ai Pavesi. Insaccò molta moneta, infame prezzo della licenza conceduta a questi di inabbissare quella risorgente città, di cui non rimase in piedi palmo di vivo; mura e case tutto in un fascio abbattute. Questo, la Dio mercè, fu l’ultimo sfogo delle municipali vendette, che dettero luogo ad altre, ma santissime, perchè di tutta una gente contro la tedesca rabbia1.

Muoveva Federigo di Pavia a Monza nel terzo dì di Dicembre. Doveva dare pel Borgo di Vingentino. I Milanesi lo seppero, e si fecero trovare al vegnente Augusto lungo la via con tali modi e parole, che ad impietosire le belve sarebbero state anche troppe. Era una oscura notte invernale; un diluvio di pioggia dal cielo. Uomini e donne, vecchi, fanciulli stavan tutti all’aperto a ginocchio piegato nel loto innanzi all’Imperadore. Davan grida disperate con pianto, chiedendo pietà e giustizia contro i crudeli ministri; almeno una misura allo scempio che pativano. Fu detto che Barbarossa si commovesse alquanto. Egli trasse innanzi, ingiungendo al suo Cancelliere Rinaldo, il più feroce nemico che si avessero i Milanesi, che ascoltasse le lagnanze, e glie le venisse a recare a Monza. Il Cancelliere fece lo stesso; tenne la sua via, ordinando gli venissero appresso i deputati del popolo, perchè in Monza tratterebbe de’ loro affari. Chi mi dirà come si rimanessero le miserabili turbe? perchè io non saprei raggiungere colla fantasia la nuova piaga, che aprì loro nel cuore cotanta superbia. Bensì dirò io senza tema di fallo, che in quella notte il popolo milanese così prostrato nel fango attinse a quell’altezza di civile infortunio, in cui è il tesoro di una virtù che non si trova quaggiù.

Pur tuttavia quella misera gente se ne stava sempre spiando se per caso si venisse rammollendo l’animo impe-

  1. Ott. Morenae p. 1121. 1123.