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potenza delle città. Abbattuta Milano, dovevano umiliarsi tutte le altre; onde su le rovine delle emule, le città imperiali si fossero tenute paghe di vendetta, e sgombri gli animi delle furie cittadine, si fossero ravveduti, che avevano comprata la fraterna vendetta col tesoro della libertà.

I tempi appressavano della beata resipiscenza, e li affrettava Federigo. Aveva fermato assediare Piacenza. I Piacentini temendo i casi di Milano, gliene cavarono il fastidio, prevenendo le ostilità con trattati di pace, che ottennero, mezzano Corrado Conte Palatino del Reno, ed a condizioni assai svantaggiose. Si obbligarono ad un tributo di sei mila marche; ad abbattere le mura, a riempire le fosse della città; a ricevere un Podestà imperiale; a spogliarsi di tutte le ragioni di Regalia, in una parola a non essere più Repubblica. A questi patti si arresero Brescia, poi Bologna, Imola, Faenza; e dalle Alpi a Roma non fu più terra che italiana fosse; tutte contaminate della tedesca labe1. Le repubbliche sorte con tanta maraviglia tra le fortune della barbarie, e le incessanti persecuzioni dell’Impero tedesco, furono a que’ tempi soffogate ma non ispente. Non furono più Consoli; e quelli che Cremona, Parma e Lodi per imperiale clemenza ritennero, appunto perchè concessi, veri Consoli non furono.

Lo strepito delle imperiali vendette aveva levato gravi timori anche in Genova, ed il desiderio di acconciarsi con Federigo. Ma questa Repubblica avvegnachè non istesse al coperto delle ambizioni cesaree, tuttavolta era in tale opportunità di condizioni, e per ricchezze e per la potenza che stendeva sul mare, da tenere in rispetto anzi che temere un Imperadore, che ravvolgersi poteva in Italia, stare non mai. Per la qual cosa i Genovesi chiamati che furono in Pavia da Federigo, consapevoli di quello che li rendeva sicuri, e con cui potevano vantaggiosamente negoziare, si profferirono obbedienti, ma non vassalli. Non promisero

  1. Morena pag. 1109. 1113.