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Il suo popolo andò disperso, ma non intanto che la inestinguibile carità della patria non ne ritenesse la maggior parte attorno alle sue rovine, pronti al benigno riguardo de’ cieli di rilevarla col sudore delle loro fronti, e propugnarla col sangue.

Finalmente ritraevasi satollo di vendetta quel divino Augusto, con tutta Italia in pugno1, e con lui le turbe guastatrici. Andò in Pavia a celebrare il trionfo. Questo avrebbe dovuto intenebrare di lutto ogni anima italiana: eppure era tanto il timore che sparsero le tedesche ferocie, che di Conti, Marchesi, Consoli di comuni, Vescovi ed Abati convenne una moltitudine assai grande in Pavia, a far plauso alla esultanza di Federigo. Questi aveva fatto sagramento dentro del cuore di non imporsi mai sul capo la corona del Lombardo reame, innanzi che avesse umiliata Milano: distruttala dalle fondamenta, fu ben francato ad incoronarsi a suo talento. E nel dì di Pasqua alla gran messa si fece porre sul capo la corona di ferro, insieme alla sua Beatrice: cerimonia che questi Augusti usavano rinnovare al riportar che facevano di qualche segnalata vittoria, o di altro fausto avvenimento. Dopo la messa tenne l’Imperadore un lauto banchetto, cui fè sedere i Vescovi ed i grandi feudatari di Lombardia. Egli vi si assise colla corona, i Vescovi colle mitere. Fra questi non si vedeva Pietro V Vescovo di Pavia, nel palagio del quale si banchettava; esulava a que’ dì, per la fede incorrotta al legittimo Papa2. Questo solo pensiero avrebbe dovuto far venire la vergogna in faccia di que’ prelati; ma essi libavano alla tirannide forestiera, alla servitù della patria, alla mestizia della Chiesa, alla propria infamia3.

  1. Vedi Docum. H.
  2. L’Ughelli, il Coletti nell’Italia sacra, lo Spelta nella Storia dei Vescovi di Pavia rappresentano Pietro affocato partigiano della scisma; ma fu contro verità. Il Fumagalli lo ha purgato di questa infamia. Antichità Long. Mil. Diss. XI. n. 59. e seq.
  3. Otto Morena p. 1107.