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prologo 19

lare, che precorre i tempi e le altre nazioni nel cammino della civiltà; ma non era ancora l’opera di un popolo, che è giunto a maritare la vergine ed aitante sua natura al dogma dell’unità morale. Questo difficile connubio non è consigliato che dall’esperienza degli umani casi, non si contrae, che per la coscienza dell’ordine, non si santifica, che dalla religione della sventura; poichè in questi tre principî siede ed aspetta la tarda civiltà de’ popoli. Ineducati ancora dell’esperienza, ineruditi de’ benefizî dell’ordine, gl’Italiani nel secolo XII non furono ammaestrati, che da’ civili infortunî, che da domestica e forestiera fonte si derivavano. Per la qual cosa quella che io chiamo religione della sventura, prematuramente santificò il connubio dei cuori coll’unità, che i Lombardi invocarono ed abbracciarono non nella calma dell’intelletto, che pensa la giustizia, ma nella trepidazione del cuore, che veglia la minacciata patria. Perciò corta fu la vita di quella unità, ma fecondissima di documenti a’ posteri.

La Lega Lombarda fu l’aspirazione dell’individualità italiana al suo complemento. Questa che io dico aspirazione, non era che l’espressione di una potenza accennante ad atto. L’atto completo si era la conciliazione della moltitudine coll’unità; termine finale l’ordine. Gl’Italiani troppo furiosamente avevano edificato il primo elemento; ed in questo troviamo la virtù delle individualità guarentite, col vizio della offesa unità. Nella fatica del primo elemento, avvegnachè ottima l’intendimento, troviamo l’impervertito spirito municipale, per cui l’altro elemento della unità fu cessato e vulnerato nel vivo; e non ne rimase agl’Italiani, che la potenza a conseguirlo. Questa potenza era tutta nella naturale relazione della moltitudine all’unità, e nell’atto degl’Italiani cultori della propria individualità; il quale, perchè buono, come ogni bene, tendeva al complemento, che solo può ritrovarsi nell’assoluta perfezione, dico nell’unità. Quella potenza fu sfolgorata di luce dalla Lega Lombarda, perchè gl’Italiani nella giustizia propugnata contro il Barbarossa videro l’or-