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tuttora in piedi Milano, e gli riscaldavano il desiderio di schiantarla le percosse di Carcano, ed un altra spulezzata che dettero i Milanesi a quei di Lodi e di Cremona, lui spettatore dalla rocca di Baradello. Con lettere e con messi mandava da Pavia raffermando gli amici nella sua fede, esortando i Vescovi di Novara, Vercelli ed Asti, il Marchese di Monferrato, Obizone Malaspina, Guido di Biandrate, ed altri maggiorenti a non cadere di speranza, a far raccolta di milizie la maggiore che potessero, e con queste venirlo a trovare nell’entrare del nuovo anno1.

Mentre Federigo a tutt’uomo adunava una nuova mole di guerra sopra Milano, fu questa contristata d’un grave infortunio, che pareva precursore di quella finale rovina, cui la destinavano i Cieli, per trarla poi a più gloriosa vita. Appiccatosi il fuoco il dì di S. Bartolomeo alla casa di Lanfranco Cane, così presto si dilatò, che disperato ogni rimedio, invase e divorò la terza parte della città. Ebbe principio verso Porta di Como; e le fiamme trascorrendo verso quella di Vercelli, di Pavia e di Roma, tutto incenerito, non si arrestarono che alle fosse della città. Fu veramente inestimabile perdita quella delle molte vettovaglie, che si tenevano in serbo per un assedio, consumate dal fuoco. Rimasero molti cittadini senza tetto, e le milizie raccolte alla guardia della città, dovettero uscirne, a trovare quartieri per le vicine terre. La quale uscita de’ Milanesi aiutò il risorgimento di Crema, poichè molti si ridussero ad abitare le sue rovine2. Della quale calamità cercò trarre profitto il Barbarossa affrettando gli apparecchi della guerra, colla quale si credeva umiliare alle perfine l’indomabile Milano: e non andò fallito. Vennero a primavera le consuete milizie di Germania, che aggiuntesi a quelle che già aveva Federigo in Italia, sommarono ad un cento mila combattenti. Corrado Conte Palatino fratello dell’Imperadore,

  1. Tristan. Calchi, p. 249.
  2. Otto Morena p. 179 = Sir Raul. p. 1183.