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libro secondo 175

mobile castello che quegli costruì ai danni della città, fu una terribile cosa. Imperciocchè tratto che fu ai piedi delle mura, spose e gittò su queste un ponte ben quaranta braccia lungo, largo sei, guarnito tutto di ferro, ed altri minori. I quali furono incontanente gremiti del fiore de’ battaglieri tedeschi ed italiani, che andavano ad ultima fazione coi Cremaschi, certificati della vittoria. Fra quelli, molti Baroni ed il Duca Corrado fratello del Barbarossa. Andava innanzi sul ponte maggiore esso Duca cupidissimo di far prodezze, ed investì prima i Cremaschi, i quali attestatisi su le mura, l’accolsero in modo da fermargli l’andata, e da mettere paura tra la sua schiera, che non lo seguì dappresso. Poi spingendosi innanzi con la spada in pugno, lo ributtarono ferito dentro al castello. Allora fu un vessillifero che si spiccò d’un salto nella terra, sperando che gli altri lo seguissero: ma non bastò l’animo ad alcuno di imitarlo. La quale titubanza degl’imperiali accrebbe l’ardire de’ Cremaschi, i quali mentre con lunghi rampini e graffi di ferro, come bestie di macello, si tiravano giù nella terra i Tedeschi, giuocarono così bene di petriere e di mangani, che intronarono tutto il gran castello, e ne ruppero il ponte. Per cui fu un precipitare di molta gente nel fosso; e con molto dolore del Barbarossa non si fece altro in quel dì.

Ma l’esempio del Marchesi aveva fatta una pessima impressione nell’animo de’ più fiacchi, i quali celatamente passavano agli alloggiamenti imperiali per accattare con quello vituperevole disertamento meno tristi destini di quelli, che minacciavano la loro patria, resasi che fosse. La qual cosa scorò non poco gli assediati. Correva già il settimo mese dell’assedio: incredibili fatiche eransi durate contro una numerosa oste, la quale poteva avvicendare le schiere sempre fresche alla oppugnazione. I Cremaschi erano sempre gli stessi; perciò, sebbene forti gli spiriti, incominciavano ad infralire i corpi maceri dalle veglie. Non appariva da lungi alcuno, che stornasse da’ loro fianchi l’ostinato Tede-