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14 | prologo |
gnare Bizanzio, confessarono all’universo mondo la stupenda individualità italiana. Venezia era una città, non tutta Italia. Per la qual cosa mentre le grandi monarchie si tenevano sublimi, e la sublimità loro credevano inattingibile dalla tempestata Italia, si videro non solo raggiunte, ma superate in vera potenza da una sola città. Vollero gli Italiani non una corona, ma cento; e l’ebbero.
Non erano solamente sovrane le città, perchè indipendenti; lo erano anche per la maturità del senno, con cui si reggevano, la quale mirabilmente risplende nel rapido progredire degl’Italiani nella via della civiltà in pace ed in guerra. Se in pace, la industria ed il commercio delle città marittime volgevano nelle nostre terre una vena di peregrine ricchezze, che ristoravano il popolo della perdita di quelle, che i barbari vennero a rubare in casa loro, rendevano più lieto il vivere ed ingentilivano i costumi. Se in guerra, avvegnacchè scomposte e non disciplinate sempre da santità di scopo immediato e di mezzi, pure avevano del Romano e del Greco per quel virile intendimento di non cadere ciascuna città dal seggio della peculiare sovranità. Intanto presso gli altri popoli la sola conquista, o meglio l’altrui spogliamento, era quello che li faceva più ricchi: nel dir popolo, dico il principe e le razze privilegiate, che prolificavano in seno al diritto feudale. Perciò questi schiavi in pace, e virtuosi in guerra solo nella difficoltà della brutale forza che superavano; quelli liberi, operosi in pace e virtuosi in guerra anche nella difficile abnegazione di se stessi. Questi raccoglievano il premio del valore nella vittoria, quelli tra le braccia della patria che liberavano. Essendo lo spirito degl’Italiani attento a vegliare il tesoro inestimabile delle municipali loro libertà, in questa vigilanza moralmente vivevano. Nel reggimento a comune tutti avevano gelosa la mente: si deliberava, si giudicava, si bandivano leggi, si libravano le pubbliche ragioni di pace e di guerra, si sperava e temeva per una patria.
Quella santa cosa, che si chiama patria, non è che il comple-