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libro secondo 173

a concentrarli nella morale unità della giustizia, di che era tenuto maestro e spositore, e a farli veramente fratelli.

1159 Come si sparse la voce di questa lega e dell’entrarvi del Pontefice come capo, dovettero grandemente rallegrarsene quelli che tenevano per la libertà del paese, e quelli che seguitavano il Tedesco, vergognare della propria prostituzione. Infatti risaputo i Cremonesi di quel trattato, avvegnachè fossero affocati nemici di Crema, e la tenessero quasi in pugno per disfarla, incominciarono a ritirarsi dall’assedio1. Ma questa incominciata resipiscenza fu troncata dalla morte di Adriano, avvenuta innanzi il tempo designato al bando della scomunica. La qual morte arrecò gravissimo danno alle cose Lombarde, e fu causa della distruzione di Milano. Tuttavolta il Pontificato Romano già era entrato protettore dei Comuni italiani, e la libertà della Chiesa e dell’Italia già eransi collegate. Più giovani forze vi volevano a reggere il peso della battaglia che ne seguì: perciò fidanzata, a mo’ di dire, l’Italia al Pontificato, Adriano discese nel sepolcro, e lasciò il seggio ad Alessandro III, che doveva benedire quel fecondo connubio.

Le pratiche tenute dai collegati col Pontefice fecero presentire a Federigo tutto il male, che sarebbegli venuto dall’indirizzo, che avrebbe preso il nuovo Papa delle cose Lombarde. Perciò con più ardore si dette a spingere innanzi l’assedio di Crema, per volgersi poi a quello di Milano: e così colla distruzione di questa potentissima repubblica prevenire il mal tempo che lo minacciava da Roma. Erano corsi quasi tre mesi ed i Cremaschi non davano segno di volersi arrendere: con viva oppugnazione era dì e notte tentata la città loro, ma sempre con nuovi spiriti opponevano una fortissima resistenza. Federigo era tutto con quelle sue macchine ad aprirsi la breccia nelle mura, ed a tentare una calata per via di ponti, che faceva cadere su di quelle. Noiava grandemente gli assediati quel gatto smisurato, di

  1. Trista. Calchi Lib. IX p. 240.