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Dalle parole si passò presto ai fatti. Incominciavano a venir di Germania le fresche milizie: aspettavasi la Imperadrice e molti Principi dell’Impero. Quelle facevano massa presso Bologna. Per cui, celebrata la Pasqua in Modena, Federigo vi si condusse; e anche per tenere un’altra Dieta, in cui avrebbero dovuto comparire i citati Milanesi, se ne avessero avuto voglia1. Non era questo un parlamento, per diffinir ragioni, bastava quello di Roncaglia; bensì un giudizio a punire quei Lombardi, che Federigo teneva come ribelli. Si fecero le consuete citazioni ai Milanesi: nissun comparve: furono di nuovo messi al bando dell’Impero e gridati nemici. Deliberarono poi i legisti, e ve ne erano molti in Bologna, intorno alle pene da lanciarsi ai ribelli.

Dichiarata la guerra a Milano, venne a provocarsi l’altra col Papa. Erano intervenuti a quella Dieta quattro Cardinali Legati del Papa, Ottaviano di S. Cecilia, Arrigo dei Santi Nereo ed Achilleo, Guglielmo, stato innanzi Arcidiacono di Pavia, e Guido da Crema. Recavano questi le papali lagnanze intorno alle usurpazioni dell’Imperadore. Chiesero dapprima a Federigo l’adempimento del trattato avuto con Papa Eugenio III, nel quale con sagramento aveva promesso, tra le altre cose, di adoperarsi a tutt’uomo a tenere in suggezione del Pontefice i Romani, come eranvi stati da cento anni; di guarentirgli il possesso delle regalie nella signoria di S. Pietro, e di dargli mano forte a ricuperarne il perduto. Lamentavano, e chiedevano, non ispedisse più l’Imperadore Legati a Roma, senza recarlo a notizia del Papa, essendo il maestrato, e le regalie di Roma cosa tutta di S. Pietro; salvo il tempo dell’incoronazione, non avesse diritto alla raccolta del fodro; si stesse contento al giuramento di fedeltà, che gli facevano i Vescovi, e non li costringesse anche a quello dell’omaggio; i Legati imperiali non prendessero stanza nei palagi dei Vescovi; finalmente restituisse tutto l’usurpato del patrimonio di S.

  1. Radev. l. 2. c. 29.