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libro secondo 159

dalizzando i suggetti con le sue ribalderie o violando le ragioni della Chiesa, correva obbligo di ammonirlo, di levargli in capo la voce, ed anche di chiudergli sul viso le porte della Chiesa. Dico in quei tempi. Ora un vassallo non poteva far tutte queste cose al suo signore. Questi poteva riserbarsi a sua posta qualunque ragione sui feudi nel donargli a Dio, ma non mai su le persone sacre investite de’ feudi. Queste cose sapeva Papa Adriano, e nel vedere come Federigo menasse a tondo su tutte le ragioni, di che lo avevano regalato i legisti, non poteva starsene e non altro.

Io non so se vero fosse, o voce sparsa artifiziosamente da Federigo, che Adriano avesse aperte segrete pratiche coi Lombardi contro di lui, e li avesse inanimiti a scuotere il giogo. Si dicevano anche intraprese papali lettere sul negozio1. Certo è, che se non furono questi trattati, erano a tale termine venute le cose, che non sarebbe stato follia in Federigo sospettarne, importuno in Adriano a vagheggiarli. Messisi così grossi a guardarsi l’Imperadore ed il Papa, non vi voleva che una leggerissima cagione a farli prorompere; e non tardò molto a venire. Federigo voleva preporre alla chiesa di Ravenna una sua creatura, il figlio di quel Guido Conte di Biandrate, che confortò i Milanesi alla dedizione. Chiamavasi anche Guido: era stato per caldi uffici di Federigo creato Cardinale Suddiacono, e per ispecial favore, come se fosse stato Diacono, gli era stata affidata in Roma una chiesa. Acerbo di anni, come appare dalla lettera del Papa a Federigo2, quegli anche per consiglio dei Cardinali, non credette opportuno trasportarlo al seggio di Ravenna3. A questo niego di fare il piacere imperiale era condotto Adriano da forti e segrete ragioni, che Federigo, sapendole, non le avrebbe alcerto tenute in non

  1. Radev. ib.
  2. Nunc autem honestatem ipsius considerantes et provectum scientiae, si vita ei comes fuerit, attendentes. Epist Adri. Ap. Radev. l. 2 c. 16.
  3. Ib.