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158 | della lega lombarda |
a Milano. Vi stette attorno tutta la quaresima per farne una rocca veramente inespugnabile per munizioni di mura, e forza di presidio1.
Mentre Barbarossa curava i negozî della prossima guerra, levava il capo Papa Adriano a vedere quel che avvenisse in Lombardia, riscosso dall’entrar che facevano fin nelle terre della Chiesa gl’imperiali raccoglitori del fodro, ed i ministri introduttori degli strani Podestà. Avevalo già grandemente turbato quel parlamento di Roncaglia, e per la smisurata signoria, che si attribuiva Federigo, per cui intedescata l’Italia, nuda di umana protezione, la papale sedia sarebbe stata conculcata da lui; e per la servitù cui erano ridotti i Vescovi, con immenso scapito della libertà della Chiesa. Un Imperadore come Augusto stava bene quando la Chiesa esternamente tapinava nascosta giù per le catacombe; pessimamente, trovandosi questa in tanta levatura di stato, da non avere altri che la soprastasse nel giudicare, e guarentire le ragioni dei popoli minacciati della forza della prepotenza. Era fresca la memoria delle combattute investiture; perciò quell’accomunare le sorti di un Vescovo, che aveva feudi, con quelle di un Barone laico, non poteva, nè doveva sfuggire agli occhi di un Pontefice sommo. I feudi ecclesiastici erano cosa sacra; e donati che fossero, erano così strettamente guardati dalla ragione di Dio, da non lasciare loro accostare più quella del Principe. Quel rassegnare dei loro feudi in man dell’Imperadore a Roncaglia e il protestare, che eran tutti di Cesare, poteva farsi dai Baroni, non punto dai Vescovi. Questi come cittadini e come possessori di feudi potevano, e dovevano far sagramento di fedeltà all’Imperadore; ma prestargli omaggio, che valeva personale vassallaggio, non potevano, nè dovevano. Vedi presso Du Cange la differenza che correva tra il giuramento di fedeltà, e quello di omaggio. Ad un Vescovo, ove l’Imperadore non voleva essere un fedele cristiano, scan-
- ↑ Id. c. 26. 27. 28.