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libro secondo | 157 |
condo Radevico, egli si dette con grande studio a provvedere; perchè i Milanesi dicevano, e facevano davvero. Cercò dapprima intimorirli, stando in certo castello detto Marmica, coi soliti bandi, con cui citava i Milanesi a comparirgli innanzi. Questi vi mandarono i loro messaggi, e tra i quali l’Arcivescovo, quello stesso della famosa diceria; il quale non sapendo onde navigare tra gli scogli e le sirti, s’infinse infermo, e se ne tornò a casa. Gli altri andarono, e con fronte alta stettero ad ascoltare l’impudente rampogna, che gittava loro in viso l’Imperadore, per la violata fede. Alla quale non risposero che con questa beffarda, ma generosa sentenza — Giurammo, per Dio: ma non facemmo sagramento di mantenere il giurato anche coi fedifraghi — Così se ne tornarono, recando a Milano la notizia dell’invelenito animo imperiale, e della necessità di prepararsi alla guerra1.
Federigo si persuadeva, che il nome d’Imperadore non bastava con Milano, e che fosse necessaria la forza. Per la qual cosa spedì in Germania solleciti messaggi esortando i Principi dell’Impero, a far massa di gente, a scendere in aiuto della pericolante dignità imperiale. Chiamava anche Beatrice sua donna. Egli poi si ravvolgeva per la superiore Italia, non lasciando mezzo intentato, a spiare l’animo dei popoli verso di lui, ed a raffermarli, se fosse stato possibile, sotto la sua balia. Andava assoldando milizie, affortificando castella, staccando città dall’amicizia di Milano. Riuscì nell’intento con gl’Isolani del Lago di Como, i quali stati fino a quel tempo fedelissimi alleati di quella città, gli si diedero, appena che il videro accingersi a navigare per la loro terra. Ma dove adunò proprio tutte le sue mire si fu la novella Lodi: della fede di cui non dubitava, sapendo quanto, e come vecchio fosse l’odio che portava
- ↑ Radev. l. 2. c. XXV.
deret, ac pro nihilo haberet, tacuit. = Sir Raul. p. 1182 = Tristano Calchi L. IX. p. 237.