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libro secondo 151

recare scandalo anche ai Tedeschi, si fu la diceria dell’Arcivescovo di Milano, indegna di un Italiano, indegnissima di un pastore di anime. Egli dissoluto nella più marcia adulazione, chiamò giorno fatto del Signore quello in che, per le diffinizioni de’ Dottori in Legge, si stringevano i polsi della patria coi ceppi di una schiavitù fino allora sconosciuta; chiamò leggi di pace quelle che sanciva la tirannide di un Barbarossa; chiamò felice l’Italia che aveva alla perfine trovato un Principe, che avrebbeli tenuti come fratelli. Invitava alle gioie per la riacquistata pace, e finiva «È piaciuto alla tua potenza chiamar noi tuoi fedeli e tuo popolo a consiglio intorno alle leggi, alla giustizia ed all’onore dell’Imperio. Sappi che ogni diritto del popolo di comporre leggi ti è concesso. Il diritto non è altro che il tuo arbitrio; come anche si dice: Quel che più talenta al Principe ha già vigore di legge, perchè il popolo ha messo nelle sue mani ogni sua balia e potere.» Vedi in che lussuria di adulazioni intristiva il Prelato; e vedi ad un tempo, come non potesse al tutto svestirsi dell’abito repubblicano, affermando sempre, potestà legislativa ed imperio derivarsi al Principe dal popolo1.

Ciò che disse l’Arcivescovo, fece, e con lui fecero tutti i Vescovi, Conti, Duchi, Marchesi ed i Consoli delle città, cioè rassegnare nelle mani di Federigo ogni loro ragione. E secondo il diffinito dai legisti, con la propria bocca confessavano, le Regalie in Italia essere cosa dell’Imperadore; sotto la qual voce si comprendevano le contee, i ducati, i marchesati, il diritto di coniar la moneta, i dazî, le gabelle, i porti, i molini, le pescagioni, tutto tutto, per usar le parole de’ Dottori. Si assoggettarono anche al pagamento di un testatico, oltre alla taglia che colpiva i loro beni immobili. E poichè Federigo volle anche apparir generoso in tutta questa rapina, consentendo, che non fossero turbati nelle loro ragioni coloro, che le possedevano per regia

  1. Radev. l. I. c. 4.