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146 | della lega lombarda |
si lasciassero taglieggiare di nove mila marche di argento (cinque milioni di lire milanesi); restituissero tutti i prigionieri; rassegnassero nelle mani dell’Imperadore tutti i diritti di regalia, come di zecca, di viatico, ed altro; all’imperiale approvazione soggiacessero i Consoli eletti dalla città; consegnassero a sicurezza del trattato trecento ostaggi. Queste sole obbligazioni si addossava Federigo, cioè di usare modestamente la vittoria, perdonando ai vinti, e di sgombrare in tre dì coll’esercito dal loro paese. Dai quali capitoli è chiaro, che sebbene spogli i Milanesi de’ diritti di regalia, conservarono quelli di reggersi a comune, di crearsi i propri Consoli. L’approvazione di questi, che si riserbava Federigo, e la sottrazione di Lodi e Como dalla signoria di Milano, erano i soli atti del Tedesco, che le facevano sentire più forte sul collo il giogo dell’Imperadore. Questi finora contentavasi di una suprema ma larga giurisdizione, avendo in pugno la vittoria; appresso i legisti gli allargarono tanto l’animo alle ambizioni, che uomini o cose datigli in traformata balia neppur bastavano a quetarlo1.
Il dì appresso alla conclusione ed accettazione del trattato uscirono i Milanesi a fare la loro suggezione a Federigo. Precedeva il clero con l’Arcivescovo colle croci levate, seguivano i Consoli ed il maestrato, scalzi, in vile arnese e colle spade nude in mano per renderle al vincitore: andavano ad inchinare il tedesco Augusto, che il Canonico Radevico non dubita chiamar divino (Divus.) Era tutto l’esercito spettatore di quella sommessione; molti ne sentirono pietà, vedendo que’ nobilissimi cittadini un dì innanzi pettoruti a fronte dello sforzo di tutta Lamagna su gli spaldi della carissima patria, ora traboccati in fondo di tanta miseria da venire cercatori di mercè all’abborrito Barbarossa. Non so se impietosissero gl’Italiani mescolati negli