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catapulte, di repente si arresero alla logica di quei martellanti1. In quel modo ottenuto Federigo la torre, vi piantò sopra una petriera, la quale cominciò a trarre un nembo così denso di sassi sulla sottoposta città, che ne fu danneggiata nelle case e negli uomini. Risposero dalle mura i Milanesi con altra macchina che Sir Raul chiama Onagro, con cui giuocarono così destramente, che fracassato l’ingegno della petriera, spulezzarono dalla torre i Tedeschi2.

Intanto nella città la fame stringeva, e dai malvagi alimenti e dal putrefarsi de’ cadaveri derivò anche la morìa che si appigliò al popolo di Milano. Ciò dissolveva i corpi, gli animi disfrancava il veder dalle mura l’orribile soqquadro, a cui metteva Federigo le loro campagne. Ardere i rustici casolari, recidere le viti, gli alberi grossi che non si potevano abbattere con un dar di scure decorticare; far fascio, a pastura delle bestie, delle acerbe messi; fare un deserto dell’insubro giardino, ecco le prodezze a cui licenziava Barbarossa que’ suoi barbari. L’inudita devastazione consumò tutto il bel paese, che si stendeva tra il Seprio e la Martesana. Radevico dice che queste ribalderie si commettevano dai Cremonesi e Pavesi nemici a Milano3. Il Morena Lodigiano, e tutto cosa di Federigo, afferma, che esso Federigo conduceva quelle infami masnade4. Che vi fossero in mezzo anche Italiani non dubito, e per l’odio che portavano a Milano, e per conforto del Barbarossa, il quale come vedremo appresso, era tutto nell’attizzare le municipali nimicizie, non essendo più opportuno mezzo a conservare le sfrenate signorie della divisione de’ sug-

  1. Radev. lib. 1. c. 38. — Morena p. 1013.
  2. Sir Raul. c. 1181.
  3. Radev. c. 40.
  4. ....alio quodam die Dominus Imperator cum maxima parte exercitus circa Mediolanum pergens, totas segetes, quascumque invenit, devastavit; vites etiam, et arbores succidit, domus combussit, molendina dextruxit.....