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tagliata la via al ritorno, chiamarono a raccolta e si ritrassero in città1.

Quasi a rimbeccarli di quella sortita, che tornò assai male ai Tedeschi, Ottone Conte Palatino condusse in sull’annottare le milizie ben provvedute di materie facili ad accendersi ad appiccare il fuoco ad un ponte di legno, che sovrastava il fosso della città, e metteva capo ad una delle sue porte; alla quale appiccato che si fosse il fuoco, sarebbero accorsi ad estinguerlo i Milanesi: e così distratti dal pericolo dell’incendio, avrebbe potuto batterli, e intromettersi nella città. Ma non appena gli assediati si addarono dell’incendio già appreso al ponte, vennero fuori come lioni a ributtare l’inimico. Orribile veduta: le fiamme illuminavano una feroce battaglia, dall’esito della quale dipendeva la sorte della città. I capi tedeschi si cacciarono nella mischia come soldati gregari: ma a nulla valse. Poichè eransi i Milanesi così stretti attestati, e con tanta furia premevano, che di viva forza vennero i Tedeschi rincacciati ed inseguiti. È a dire che in queste sortite i Milanesi ben si avvantaggiassero. Morena afferma, che era tanto il numero dei cavalieri messi da loro fuori di sella ed uccisi, che in città di cavalli intrapresi ai nemici fu una grande moltitudine, da vendersene ciascuno per quattro soldi2. Così in queste accanite fazioni passavano i dì, nè appariva segno che venissero alla resa i Milanesi: dappoichè non avendo Federigo bene chiuse loro le vie, ad ora ad ora scorrevano la campagna, e recavano dentro qualche rinfresco alle provvigioni. Di che avvedutosi un dì, che cavalcando intorno alla città con gli eletti dell’esercito osservava le munizioni, pose così stretta guardia ad ogni sbocco di via, che fu tolto agli assediati ogni opportunità di foraggio3.

  1. Radev. lib. I. c. 34.
  2. Id. c. 35. = Sir Raul. p. 1187.
  3. Ib. c. 38.