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libro secondo | 139 |
Mentre l’Imperadore stava racconciando le cose de’ Lodigiani, accorrevano nuove milizie da molte città d’Italia, in guisa che tutto l’esercito gli crebbe fino al numero di circa cento mila fanti, e quindici mila cavalli. La presenza di questi Italiani mi penso, che pungesse di emulazione l’animo de’ Tedeschi. Fu certo Conte Ekeberto di nome, giovane che gli bolliva dentro il sangue, bello e prode della persona, il quale gli pareva un secolo di poter mischiar le mani con gl’Italiani, e far qualche prodezza che lo avesse segnalato nell’esercito. Appiccò ad altri baroni suoi pari, e ad alcuni della milizia palatina questa sua febbre di gloria; e con unito consenso celatamente fermarono, spiccarsi dagli alloggiamenti senza licenza dell’Imperadore e tentare un improvviso colpo di mano su Milano. Un nodo di mille cavalieri si mise ai loro cenni: e con molta certezza di vittoria cavalcarono per quella città. Difilato vi vennero, e sforzarono una delle porte. I Milanesi si addarono che gli assalitori volevano proprio saggiare la virtù loro; di tratto vennero fuori ad affrontarli. Non erano a quei tempi armi da fuoco che battono di lungi: coi petti e colle braccia si sosteneva il peso della battaglia. Incredibile rabbia mescolò le due schiere, da non lasciarsi innanzi palmo di terra che li separasse. Veramente coi petti si combatteva, perchè in quelli era tutta la forza di secolari vendette. Urtatisi i primi, tanto fortemente erano premuti alle spalle dalle estreme file cupide di menar le mani, che tra il morire e l’uccidere non rimaneva loro luogo a fuggire. Un turbine di polvere li nascondeva agli occhi della città; italiane e tedesche voci confusamente risonavano, e non si sapeva dove inchinasse la vittoria. Ma essendosi Ekeberto volto ad aiutare un suo cavaliere sbalzato dall’arcione, venne abbattuto in terra da un colpo di lancia, spoglio dell’armadura e mozzatogli il capo. La sua morte snervò l’animo de’ Tedeschi, che non tennero più fermo, e furono smagliati e rotti. Fra gli uccisi e prigioni, pochi di loro avanzarono nunzî al Barbarossa della mala pruova fatta della virtù