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onestà e prudenza, della quale sapeva a pruova l’efficacia nel sedare i turbamenti del R. Imperio, di quell’Imperio, di cui dividevano con lui il reggimento. Affermava come non avesse vaghezza di guerra, sapendone i mali; non ve lo conducesse ambizione di principato, ma ferocia di ribelli. «Vedete là Milano, esclamava, dessa è che vi ha tratti del dolce nido della patria, e strappati al seno delle vostre donne e de’ vostri figliuoli, dessa che vi ha rovesciata su le spalle una mole di tante fatiche colla sua irriverente baldanza. Essa giustificò la ragione della guerra, ribellando all’Impero: voi onestamente ministratela per puro amore di pace. Ministri di giustizia, a voi mi rivolgo, perchè fallisca l’audacia de’ nemici, e l’Imperio ai dì nostri sortisca il debito decoro. Non siamo arrecatori, ma propulsatori d’ingiuria: perciò volgete l’animo ad una giusta guerra, fortemente duratevi, da conseguirne gloria e guiderdone. No, Dio concedente, non avverrà, che una sola città nemica abbia a trovarci vilmente dischiattati dai nostri maggiori, nel conservare ed accrescere quell’Impero, che la virtù di Carlo e di Ottone ci ha tramandato»1. Orribilmente gridò l’esercito a plauso delle imperiali parole.

Mi penso che il lettore voglia sapere chi fossero quei Ministri di giustizia, cui si rivolge il Barbarossa, e quasi invoca a sorreggergli sul capo la corona di Augusto. Io lo dirò, premettendo una breve considerazione. Due generazioni di uomini sono formidabili ai Principi: i preti ed i legisti. Quelli padroneggiano il popolo, questi una terribile cosa, che chiamano opinione, colla notizia che essi soli sanno di Diritto. Questo benedetto Diritto che han voluto chiudere nell’inaccessibile rocca delle umane legislazioni, che spesso sono matte ed ingiuste, è una spiritualissima idea, la quale credesi da molti abitar solo nelle leste de’ dottori in Legge. Eppure spunta senza sforzo, e dimora nel cuore di ogni

  1. Radev. lib. 1. 27.