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126 | della lega lombarda |
dere al medesimo la pace, che si conchiuse a tristi condizioni. Il Baronio lamenta lo scapito delle papali ragioni1 ne’ capitoli giurati da Adriano, ed afferma che si piegasse sforzato dalle armi del Re; specialmente compiange lo spogliarsi che fece quel Papa del diritto di ricevere le appellazioni dai cherici del reame. Ma Adriano non poteva starsi tanto sul tirato, non solo per la forza presente del Malo, ma anche per la lontana del Barbarossa. Adunque investì Guglielmo del reame di Sicilia e di Puglia, ricevendo da lui sagramento di fedeltà col ligio omaggio, e si ritrasse in Roma regalmente gratificato di ricchissimi doni.
Questa pace col Malo, con cui aveva in animo Federigo di guerreggiare, fu un’aperta dichiarazione che fece Adriano di non temere l’Imperio, e di affortificarsi contro di lui coll’amicizia del Re di Sicilia. Perciò come ne giunse la notizia al Barbarossa, montò questi in forte sdegno contro del Papa: avrebbe voluto almeno una petizione di licenza per quel trattato. Manifestò tosto il pessimo animo concepito contro la Chiesa, chiudendo la via ai cherici di Germania andanti a Roma per sagri negozî; e lasciando impuniti alcuni tirannelli tedeschi, i quali avevano cacciato in fondo di prigione Esquilo Arcivescovo di Lunden in Svezia, che tornava di Roma2.
Adriano era già preparato a queste impertinenze; e con tutti i nervi si adoperò a comprimerle, avvegnachè alcuni de’ Cardinali, cercatori del proprio, e non dell’onor di Dio, già venduti a Cesare, gli levassero il rumore in casa. Ricordi il lettore di questi indegni discepoli di Cristo, che li troverà appresso artefici di scellerata scisma. Spedì Legato a Federigo Rolando Cancelliere di S. Chiesa, del quale basta per ora solamente accennare, che fu poi Alessandro III, e Bernardo del titolo di S. Clemente. Ottima deputazione: