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no e dell’Adda vegliava, e teneva in suggezione da una banda le regioni del Pavese, del Novarese e del Monferrato, dall’altra tutta la valle di Lugano1.

Le vittorie de’ Milanesi come umiliarono gli spiriti della parte imperiale, così rilevarono quelli delle Repubbliche a tener fronte al venturo Barbarossa, che tutte si aspettavano minaccioso. Miravano queste all’operosa Milano, e ne toglievano esempio di cittadina virtù. Era grande il pericolo che la minacciava, ma più grande l’animo de’ suoi Consoli, che vi andavano incontro con ogni provvidenza. Non molestati da’ nemici, usarono del tempo che corse dalla state dell’anno 1157 fino a quella dell’anno appresso a curare le munizioni della città e di tutto il territorio. Andavano solleciti affortificando castelli, fabbricandone nuovi, assicurando con nuove opere la fedele Tortona; cinsero per ben quattro miglia di bastioni e profondo fossato tutti i sobborghi della città; in una parola si misero in punto da non tentennare all’impeto dello sforzo tedesco. Incredibile, ma vero; profusero in queste opere cinquantamila marche di argento, le quali davano il valore di ventisette milioni, e cinquecento mila lire milanesi de’ nostri giorni2. Non rendeva alcerto tutto questo tesoro il pubblico censo, nè era tutto profferto dai cittadini: molto ne smunsero i rettori della città, anche con iniquità dei mezzi. L’antico tributo che chiamavano fodro con tanto rigore andavano raccogliendo i pubblicani, che ove non trovavano in palma di mano moneta viva e sonante, imprigionavano e martoriavano. Nuovi e molti balzelli s’imposero al popolo. Corse un bando che vietava a tutti vendere il campo paterno, non licenziato dal reggimento di Milano; con molta pecunia si comperava la licenza, e colla pecunia si pagava il fio della violazione del bando. L’esiglio e la pubblicazione de’ beni era minacciata a chi recava fuori cosa delle proprie sustanze, ed usciva

  1. Idem Ibi.
  2. Vedi Giulini Memorie Storic. di Milano.