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118 | della lega lombarda |
cenno che n’ebbe da Federigo, si sciolse, e per diverse vie se ne tornò in Lamagna1.
Rimase l’Imperadore con un sol nodo di gente, che a mala pena gli potevano assicurare il ritorno a casa sua, massime, che tutto il sangue sparso, e le bestiali azioni avevano concitato a sdegno gli animi italiani. Erano questi discordi; ma nella discordia incominciava a prevalere in tutti un generoso pensiero di guarentire il proprio decoro da quella peste straniera, e togliersela di sopra comunque si potesse. Infatti giunto Barbarossa nel territorio de’ Veronesi, questi gli tesero certe insidie, che se fossero andate secondo il desiderio, nè l’Imperadore nè gl’imperiali avrebbero più veduto Germania. Verona da antichissimo tempo soleva al passare di qualche oste tedesca chiuder le porte, per non lasciarsi manomettere, e tener sempre sull’Adige un ponte, per cui quella poteva continuar sua via con minor danno del paese. Le milizie che arrivavano erano provatissime in ogni maniera di ribalderia: volevano i Veronesi sterminarle da questo mondo. Avevano gittato sull’Adige un ponte di battelli così debolmente legati tra loro, che a mala pena reggevano alla correntia delle acque. Nelle superiori sponde tenevano preparate grosse moli di legno, le quali, come fosse giunta una parte dell’esercito imperiale sul ponte, dovevano mandarsi in balia del fiume, ed urtarli, e così sprofondar tutti nelle acque, mentre gli aspettanti alla riva sarebbero stati combattuti colle armi. Ma Dio non volle: imperocchè fu tanto stretta la sèguita che davano i paesani agli abborriti Tedeschi gittati ad ogni rapina, che il loro passaggio sul ponte fu innanzi il tempo preveduto, e solo poi che ebbero toccata la opposta sponda, andò in fascio il ponte. Anzi la cosa tornò a danno de’ Veronesi; dei quali molti che avevano valicato il fiume inseguendo i nemici, rotto alle spalle il ponte, e non soccorsi dagli al-
- ↑ Otto Frising. lib. 2. c. 24. p. 725.