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Egli era stato colpito di anatema da Innocenzo nel concilio Lateranense, e costretto a riparare in Francia; ma lasciò in Roma la semenza della sua dottrina, che recò frutti amarissimi a quel Papa. Tornatovi sotto Papa Eugenio III, il popolo, che quasi lo adorava come un Profeta, si mise all’opera di far rivivere la Repubblica. Abbattè le case dei Patrizi, corse furibondo addosso ai Cardinali, abolì la dignità di Prefetto, ricompose l’ordine senatorio ed equestre, si recò in mano la signoria della città, togliendola al Papa. Questi adoperò la forza, poi discese ad accordi, per cui gli fu rinnovata l’obbedienza del popolo: tornò il Prefetto, ma stette il Senato, e con lui lo stesso Arnaldo. Questo innesto di Repubblica e di Papato non poteva durare in pace: Adriano IV si trovò a mal partito rinchiuso nella città Leonina. Di là lanciò l’interdetto sui Romani, che si piegarono a bandire Arnaldo. Questi, intrapreso nella fuga dal Cardinale Gerardo di S. Nicola presso Otricoli, fu poi liberato dai Visconti di Campagna, che se lo tenevano chiuso in un loro castello, venerandolo come santo. La sua morte fu la principale condizione che chiese Adriano alla coronazione di Federigo: il quale spiccate alcune milizie contro que’ Visconti, s’ebbe nelle mani Arnaldo. Venne questi strozzato per ordine del Prefetto di Roma, gittate al Tevere le ceneri del suo corpo abbruciato, perchè il popolo non le venerasse come reliquie di un santo1.

Tolto di mezzo colui, che avera rinfocati i Lombardi ed i Romani dell’amore della libertà, crollando nelle loro menti il principio della feudalità chericale, Adriano e Federigo si accostavano. Fatto sagramento di non arrecar danno alla persona ed alle ragioni del Papa e dei Cardinali, pose Barbarossa il campo appresso Sutri in certo luogo detto Campo Grosso, mentre il Papa scendeva di Nepi ad incontrarlo. Giunto alla regia tenda aspettavasi che Fede-

  1. Otto Frisig. lib. 2. c. 21. p. 719 — Gunterus Ligur. lib. 3. pag. 43.