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98 della lega lombarda

Landriano per la strettezza del necessario. Intanto veniva dal cielo una pioggia a torrenti, che arrestò il corso all’esercito presso a Rosate. V’era da mangiare per un dì: Federigo volle starvi quarantott’ore, e mancò il vitto. Andò in bestia contro i Consoli; e nella loro impotenza a rattenere la pioggia ed a moltiplicare i pani trovò un fellonesco tradimento. Ruppe in feroci vendette; e lasciati andare i prigionieri Pavesi, ordinò che i Milanesi fossero legati alle code de’ cavalli e trascinati pel fango; gli si levassero dinanzi i Consoli, uscissero dagli accampamenti; sgomberassero il castello di Rosate del presidio che vi teneva Milano, e con questo tutti gli abitanti, lasciandovi dentro le provvigioni e ogni loro sostanza ad uso del suo esercito. Così fu fatto: i Tedeschi vi entrarono, divorarono quanto vi era, poi diedero alla fiamme la misera terra.1

Questa crudele cacciata venne fatta a mezzo di oscura notte, dirompendosi i cieli in fredde piogge. Presero la volta di Milano i Consoli; seguivali piangendo lo snidato popolo di Rosate. Fecero una pietosissima vista in città que’ fuorusciti; uomini, donne e fanciulli con la disperazione in viso chiedevano mercè. Accagionavano i Consoli delle loro miserie, come quei che avevano per loro fallo spinto il Tedesco allo scellerato partito. Tutti impietosirono, in guisa che le ragioni prodotte a discolparsi dai Consoli non valsero ad assolverli nella mente del popolo, che nell’impeto dello sdegno si condusse ad abbattere la casa di Gherardo Negro2.

Speravano i Milanesi che questa pena inflitta ad un pubblico magistrato bastasse a sedare le ire di Barbarossa. Oltre a ciò gli spedirono ambasciadori con ricchi presenti di oro; ma li ributtò con superbo disprezzo: uscissero della sua presenza, lui non essere uomo da accalappiarsi coi doni; non avrebbe tenuto alcun trattato con gente trista e di sinistra fede; non isperassero pace, innanzi rassegnargli

  1. Otto Morena. p. 972 = Otto Frisig. lib. 2. c. 14. p. 710.
  2. Otto Fris. lib. 2. c. 13. e 15.