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Nello sfasciarsi della romana potenza lo spirito conservatore delle genti sarde custodi gelosamente la bella tradizione latina. Mentre nel tempo che segnò il passaggio dall'evo antico all'evo medio, gran parte d'Italia, come scrisse il Solmi, soggiacque a una lunga, trasformativa dominazione germanica, la Sardegna fu invece fra le scarse regioni italiane che ne restarono quasi pienamente immuni, dando così un nuovo, singolare atteggiamento alla sua storia, che tu lenta e spontanea elaborazione degli elementi indigeni e latini1.

La furia distruggitrice della conquista vandalica, assai breve e poco estesa, non lasciò traccia alcuna d'arte e di vita e paralizzò quell'ascensione alle più nobili conquiste, che la Sardegna avea iniziato con la signoria di Roma.

Una completa oscurità avvolge in questo fu nesto periodo ogni azione isolana, che non siano le fasi di quelle guerre che dilaniarono l'isola. Turbini di barbarie la dovettero ridurre in un vasto campo funebre e quando cessarono le irruenze degli invasori, l'opera degli architetti e degli artisti si svolse come se nel naufragio delle romanità questi avessero perduto la memoria d'ogni bella forma.

La conquista di Belisario ed il riordinamento amministrativo di Giustiniano, assicurando la Sardegna al dominio degli imperatori d'Oriente, consentirono lo spontaneo sviluppo degli elementi latini.

Artefici che trassero la loro arte da Bisanzio svolsero nell'isola quell'architettura, che derivò da

armonica fusione di forme orientali e di bellezze classiche, sparse quest'ultime con profusione nella terra che vide erigere l'Acropoli e scolpire la Venere di Milo. Furono greci gli artisti che scol-

  1. Arrigo Solmi, La Sardegna e gli studi storici nell'Archivio Storico Sardo, vol. I, fase. 1-2, Cagliari, Tip. G. Dessi, 1905.